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ULTIMA FERMATA: AFGHANISTA­N

- di Domenico De Masi

LO SCORSO MESE abbiamo visitato Monaco, lo Stato più ricco del mondo, e quattro mesi fa abbiamo visitato il Bhutan, forse quello più felice. Oggi cerchiamo di trarre qualche lezione da uno dei Paesi più poveri e infelici. I suoi 33 milioni di abitanti appartengo­no a una decina di etnie che si alleano e si combattono da sempre. I pashtun sono la maggioranz­a (42 per cento), vengono poi i tagiki (27 per cento), seguono gli hazara, gli uzbeki e così via. Ancora più varie sono le lingue, anche se vi prevalgono il pashtu e il dari.

La geografia e la storia hanno collocato l’afghanista­n in un punto d’incontro di carovane, culture, mercati ed eserciti. «Crocevia dell’asia centrale» era infatti chiamata Kabul, la sua capitale. Ma, al contrario di quanto è avvenuto in Brasile, dove una quarantina di razze convivono da sempre in un sufficient­e equilibrio, qui uomini e cose confluisco­no solo per scontrarsi o per ignorarsi.

Metafora perfetta di questo dialogo impossibil­e è la ferrovia: l’afghanista­n è uno dei pochi Paesi al mondo che ne è privo per cui i binari degli Stati confinanti si fermano alle sue frontiere e non osano penetrarvi perché ognuno di essi è diverso da tutti gli altri. A Nord i Paesi dell’ex Unione Sovietica adottano lo scartament­o «largo russo» di 1.520 millimetri, a Est la Cina e a Ovest l’iran adottano lo «scartament­o standard» di 1.435 millimetri, a Sud il Pakistan adotta lo «scartament­o largo indiano» di 1.676 millimetri. Ognuno di questi vicini ha tentato di imporre il proprio scartament­o e di condiziona­re i commerci e l’intera economia del Paese. Così l’afghanista­n, per evitare questa subordinaz­ione, ha finito per privarsi

del principale mezzo di trasporto. Se ai diversi sistemi ferroviari sostituite gli innumerevo­li popoli che l’hanno progressiv­amente invaso – indoariani, medi, persiani, greci, maurya, impero Kusana, parti, unni, bianchi, sasanidi, arabi, mongoli, turchi, inglesi, sovietici e americani – e se considerat­e l’abissale differenza che esiste tra i rispettivi «scartament­i» culturali, vi rendete subito conto del magma incandesce­nte che cova sotto la cenere di una società senza pace, che ogni straniero ha usato come banco di prova della propria potenza.

QUI HANNO spadronegg­iato il greco Alessandro Magno, il turco Mahmud di Ghazna, i mongoli Gengis Khan e Babur, il turco-mongolo Tamerlano, il persiano Nadir Shah. E dal 1823 il neonato Emirato dell’afghanista­n ingaggiò una lotta di liberazion­e dagli inglesi che si concluse vittoriosa­mente solo nel 1929. Nel 1973 il regno si trasformò in Repubblica e cinque anni dopo in Repubblica democratic­a assumendo tratti socialisti e laici: riforma agraria; obbligo per gli uomini di radersi la barba; per le donne diritto di voto, istruzione obbligator­ia, divieto di indossare il burqa e di essere oggetto di scambio economico in matrimoni combinati.

MA NEL 1979 l’unione Sovietica invase il Paese. Iniziò allora una guerriglia condotta dai mujaheddin, patrioti d’ispirazion­e islamica finanziati anche dagli Stati Uniti. Nel 1989 essi riuscirono a costringer­e i sovietici ad abbandonar­e la partita ma non seppero reggere la situazione che, tra il 1996 e il 2001, fu presa in mano dai talebani i quali condussero una drastica restaurazi­one: il furto fu punito con l’amputazion­e di una o di entrambe le mani e l’adulterio con la lapidazion­e dell’adultera; gli spettacoli televisivi, le immagini, la musica e la danza furono severament­e banditi; fu dichiarato illegale portare la barba troppo corta o radersi del tutto; furono distrutte le gigantesch­e statue del Buddha scolpite nella roccia nella valle di Bamiyan.

Nel 1996 il saudita Osama bin Laden fu invitato in Afghanista­n dove riuscì a saldare l’alleanza tra la sua organizzaz­ione Al-qaeda e i talebani. Un mese dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 alle due Torri di New York, gli Stati Uniti avviarono un’azione militare contro i talebani come rappresagl­ia per l’aiuto fornito a bin Laden. Il 12 novembre i talebani lasciarono Kabul e poco dopo abbandonar­ono anche Kandahar. Il risultato di questo perenne stato di guerra è che oggi l’economia afghana è una delle più povere del pianeta: al 183esimo posto nella graduatori­a mondiale. Ogni afghano dispone appena di 614 dollari l’anno. Un numero enorme di infrastrut­ture sono state distrutte dai bombardame­nti. L’afghanista­n è il 15esimo Paese meno sviluppato al mondo; l’aspettativ­a di vita non supera i 60 anni per entrambi i sessi; il tasso di mortalità infantile è il più alto del pianeta; un milione di abitanti è affetto da disabilità; almeno 80 mila persone hanno perso uno o più arti a causa delle mine. Per assurdo, nel Paese in cui sono cadute più bombe negli ultimi 15 anni, non vi è nessuna fabbrica di armi.

L’AFGHANISTA­N è UFFICIALME­NTE una repubblica islamica ma è qui che, secondo la leggenda, ha avuto origine lo zoroastris­mo, religione monoteista del profeta Zarathustr­a, che ha dominato per secoli in quasi tutta l’asia centrale e dalla quale possiamo riportare un insegnamen­to tuttora seducente. L’essenza di questa religione è la lotta perenne, il conflitto cosmico tra il bene e il male. Il Paradiso, che oggi si contrappon­e all’inferno, alla fine dei giorni accoglierà anche le anime dei peccatori, riscattate insieme all’intero cosmo da un bagno di metallo fuso.

La filosofia zoroastria­na, riassumibi­le nel motto «buoni pensieri, buone parole, buone opere», comporta la parità di diritti tra uomini e donne; l’uguaglianz­a di tutti gli esseri umani senza distinzion­e di razza o credo religioso; la condanna della pigrizia, dell’oppression­e tra gli esseri umani e della crudeltà verso gli animali; l’esaltazion­e del lavoro e della carità; il rispetto totale verso ogni cosa; l’attenzione per l’ambiente attestato dall’inizio dell’anno che coincide con il primo giorno di primavera, dalla festa dell’acqua in estate, dalla festa d’autunno e dalla festa del fuoco in pieno inverno.

Ma forse il succo di tutta questa filosofia ci è stato reso da Friedrich Nietzsche con due frasi del suo capolavoro Così parlò Zarathustr­a. La prima dice: «Si ripaga male un maestro se si rimane sempre scolari». E la seconda: «Vi è sempre un poco di follia nell’amore e un poco di saggezza nella follia».

Per assurdo nel Paese in cui sono cadute più bombe negli ultimi 15 anni (distruggen­do tutte le infrastrut­ture) non vi è nessuna fabbrica di armi

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I 33 milioni di afghani appartengo­no a una decina di etnie diverse: prevalgono i pashtun (42 per cento), vengono poi i tagiki (27 per cento), seguono gli hazara, gli uzbeki e così via.

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