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Guerra e pace. Secondo Finnegan Oldfield

Non ha paura di parlare di politica, Finnegan Oldfield. Tra un film sulle presidenzi­ali francesi e uno nell’inferno jihadista. «Il Medio Oriente non è quello che si vede in tv».

- di Valentina Ravizza - foto di Simon - styling di Angelica Pianarosa

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OME ANGLOSASSO­NE che più non si può (pare, e gli calzerebbe proprio a pennello, ispirato al ribelle Huckleberr­y Finn) e accento francese anche quando, come in questa intervista, risponde in inglese: merito di un padre originario del Sussex, poi trasferito­si oltremanic­a, e di una mamma parigina, alla quale deve i natali nel 19esimo arrondisse­ment. Ma sebbene sia stata lei a contagiare con la passione per il cinema l’oggi 27enne Finnegan Oldfield e i registi francesi a sceglierlo per i suoi ruoli più importanti (Les cowboys e Marvin ou la belle éducation gli sono valsi due nomination come miglior interprete maschile ai premi César), lui ha comunque tifato per i Three Lions agli ultimi mondiali. «Quando vivevo a Londra ho scoperto che il calcio è fatto apposta per quando ti senti solo: ti basta andare a vedere una partita al pub per trovare facilmente qualcuno con cui parlare…».

E davanti alla cinepresa con quale lingua si sente più

a suo agio? Le regole della recitazion­e sono uguali in tutte le lingue: devi essere vero. Ma le sfide non mi spaventano, nel film che ho appena finito di girare, Dans la gueule du requin di Emmanuel Hamon, mi sono cimentato addirittur­a con l’arabo…

Che personaggi­o interpreta? Il film, tratto da una storia vera, parla di una ragazza francese che parte come foreign fighter portando con sé a Raqqa anche il figlio di quattro anni, ma quando la roccaforte dell’isis sta per cadere, siamo nel 2015, capisce di aver sbagliato e vorrebbe tornare in Francia, allora il marito che nel frattempo ha scoperto la verità fa di tutto per aiutarla a fuggire, con l’aiuto di alcuni ragazzi siriani, uno dei quali sono appunto io. Non è la prima volta che si cimenta con questo tema: in Les cowboys, per esempio, era un ragazzo alla ricerca ossessiva della sorella scomparsa nella spirale jihadista. Anche dopo la Seconda guerra mondiale sono usciti molti film sul nazismo e la resistenza. Quella in Siria è la guerra dei nostri giorni e ci sono così tante storie da raccontare, famiglie coinvolte, battaglie, che non si può pensare di esaurire l’argomento con un solo film. E purtroppo è un conflitto che continua sotto i nostri occhi, non è affatto finito.

In Nocturama di Bertrand Bonello si è addirittur­a calato nei panni di quello che è stato definito un «terrorista-hipster». Sì, il mio personaggi­o David fa parte di una banda di giovani rivoluzion­ari che decide di organizzar­e diversi attacchi simultanei a Parigi. È stato scioccante che la pellicola arrivasse nelle sale pochi mesi dopo gli attentati del 13 novembre nei ristoranti e al Bataclan.

Come lavora su storie così legate all’attualità? L’ideale è avere delle testimonia­nze dirette: per il film che ho appena finito di girare per esempio, dovendo interpreta­re un ragazzo che lavora in Turchia per un’associazio­ne umanitaria, mi sono fatto aiutare da un giovane siriano, rifugiato in Francia. E siamo diventati amici. Non ha paura di prendere posizione su temi così delicati? So che la situazione è molto complessa e non voglio generalizz­are scrivendo su Twitter che tutti i russi sono dei bastardi perché

«Il circo mediatico della politica somiglia a quello della moda»

Vladimir Putin bombarda la Siria. Però dopo essere stato in Medio Oriente, aver incontrato tanti rifugiati, mi sono reso conto che le cose non sono esattament­e come si vedono in tv.

Il suo personaggi­o in Le Poulain (appena uscito in Francia), un 25enne disinteres­sato alla politica che finisce a lavorare nello staff del candidato presidente, non potrebbe essere più lontano

da lei. In realtà seguo poco la scena politica francese, mentre sono molto attento a quello che succede all’estero. Il regista, Mathieu Sapin, ha realizzato per Libération la cronaca a fumetti della campagna di François Hollande, quindi molte delle situazioni che si vedono nel film sono reali. Penso a quanto facilmente i parlamenta­ri cambino casacca, quanto forte sia il potere dei social media nell’influenzar­e le decisioni… Il circo mediatico che gira intorno alla politica non è tanto diverso da quello della moda (ride).

«Gli abiti sono maschere: indossarli ti permette di entrare in una parte»

A proposito di moda, l’abbiamo vista in prima fila alla sfilata di Fendi alla Milano fashion week. È un fashion addicted? Mi diverto ad andare alle sfilate: è un po’ come osservare il volto ideale della giovinezza. Mi piace che gli abiti siano anche delle maschere, che indossarli ti permetta di entrare in una parte.

Anche su Instagram (@oldfinn) recita? Cerco di trovare il giusto equilibrio tra quello che sono davvero e quello che voglio mostrare. Forse dovrei pensare meno e postare di più però non è il mio lavoro. E poi mi piace circondarm­i di un po’ di mistero… Specie perché avendo già 30 tra corti e lungometra­ggi in curriculum non deve avere molto tempo libero. Sì, ho iniziato a recitare a dieci anni, anche se la mia carriera è decollata davvero solo sette anni fa. Ho capito dal primo ruolo che era la mia strada.

E la musica? So che è anche dj… Sì, ho una trasmissio­ne mensile su Lyl Radio. Stare in console e mettere un po’ di reggae giamaicano è un modo di allontanar­mi da tutte le preoccupaz­ioni. Dove si vede tra dieci anni? Sul set o in uno studio di registrazi­one? Spero di continuare a lavorare, di crescere, magari di trasferirm­i in Inghilterr­a alla ricerca delle mie radici. E chissà che non mi trovi a interpreta­re anche la parte del padre…

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Les cowboys, film in cui deve ritrovare la sorella scomparsa nella spirale jihadista, gli è valso una nomination come miglior interprete maschile ai premi César.
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«Ho capito dal primo ruolo che era la mia strada», ma Oldfield affianca la recitazion­e alla passione per la musica, come dj nei locali e per una webradio indipenden­te. GROOMING: BEPPE D’ELIA PER BEAUTICK
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