Vanity Fair (Italy)

Quella (giovane) paura di restare soli

{ Lui & Lei I rene Bernardini , }

- Bernardini@ vanityfair.it

Sono uno studente di 27 anni. Single, «non per mia scelta», come va di moda dire. E la cosa inizia a starmi stretta. Ho avuto diverse esperienze tra cui, la più importante, con un ragazzo di cinque anni più grande di me. Una storia durata tre anni, che ha fatto di me una persona migliore, e finita, tre anni fa, per vari motivi. Da allora, solo qualche sporadica uscita con ragazzi conosciuti su Internet. Ma con nessuno è andata bene. Magari anche per colpa mia. Forse perché ho gusti difficili. Il mio migliore amico dice che sono troppo selettivo: «Con te basta una parola fuori posto e li stronchi senza pietà». Ma non è così (magari un pochino). Il punto è che sono istintivo con le persone: il «requisito» fondamenta­le è trovarmi subito a mio agio, altrimenti mi chiudo. E questo è il secondo problema. Tendo a creare muri con le persone, un po’ perché non mi fido della gente, un po’ perché la fiducia bisogna guadagnars­ela. Mi fido veramente solo dei genitori e dei miei migliori amici. Magari è solo un brutto periodo, ma in questi giorni la mia paura è trovarmi a 40 o 50 anni ancora single, senza un compagno con cui condivider­e un bicchiere di vino a cena, raccontand­osi com’è andata la giornata. —MATTEO Allora, Matteo, comincio con l’aritmetica: da qui ai 40 anni te ne mancano 13. Per arrivare ai 50 te ne mancano 23. Non credi che di tempo per qualche buona esperienza e per imbroccare poi l’incontro giusto ce ne sia in abbondanza? E dunque, di che cosa è fatta quella tua paura grande? Forse dovrei saperne di più dei «vari motivi» per cui è finita quella bella storia di tre anni fa. Avevi 21 anni quando è cominciata, giusto? Lui 26, giusto? No, l’aritmetica non è proprio il mio forte (conto sulle dita, io, menomale che non si vede). È che quegli anni, quella differenza d’età, la nostalgia che trapela dalle tue parole quando scrivi che da quella storia sei uscito migliore, mi fanno pensare che forse l’imprinting di quell’esperienza intensa quanto precoce sia ancora un filtro, inconsapev­ole, in cui si incagliano i nuovi incontri, un filtro che non ti consente di aprire davvero ad altri. Di fidarti. Anzitutto di te stesso. Se fossi qui proverei poi a capire, insieme con te, se all’origine della tua diffidenza non vi sia anche il sedimento della fatica psicologic­a che un ragazzo deve affrontare per accogliere e intestarsi la propria omosessual­ità. Ho notato con compiacime­nto che nella tua lettera racconti della tua inquietudi­ne in tema d’amore senza premesse o precisazio­ni circa il tuo orientamen­to sessuale. È giusto così: l’amore è uno solo. Parafrasan­do Tolstoj, le inquietudi­ni d’amore s’assomiglia­no tutte. Ma l’adolescenz­a e dunque l’incontro con la propria sessualità dentro una società ancora più o meno subdolamen­te omofoba come la nostra è un passaggio che una persona omosessual­e non attraversa senza riportarne graffi o, spesso, ferite. La diffidenza e quella paura di restar solo, così evidenteme­nte infondata, possono venire da lì? Buona estate, Matteo, e mi raccomando leggiti E il cuore salta un battito, di Claudio Rossi Marcelli, uno che ha tenuto duro e la sera assapora un calice di vino con suo marito. Non prima che i loro tre figli finalmente dormano, un po’ più in là.

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