Vanity Fair (Italy)

SE IL MIO BAMBINO LA VEDE»

«IO NON È CHE TIRO FUORI LA TETTA E LA SVENTOLO, E POI HO UNA PRIMA E MEZZO, GIÀ È TANTO

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un bambino di pochi mesi abbia l’intelligen­za di manipolare la madre? I bambini piangono perché hanno un bisogno». Che cos’altro le dicevano? «“Piange perché non hai abbastanza latte”, “Forse dovresti mangiare cose diverse”. Niente di vero. A parte casi eccezional­i di malattie, problemi anatomici o post- operatori, tutte le donne possono allattare. Le sembra possibile che su dieci mamme che incontro, nove dicono di non avere avuto latte? Fosse vero, saremmo l’unica specie a non poter nutrire i nostri piccoli. Saremmo già estinti». Per alcune è fisicament­e doloroso. «Io ho avuto due mastiti e le ragadi. All’inizio temevo che i capezzoli non si sarebbero più risanati, ma poi la natura ha fatto il suo corso. I primi giorni ero un’anima in pena, andavo dalle ostetriche e piangevo: “Sta attaccato tutta la notte, non posso dormire”. E loro: “È normale”. Le prime settimane madre e figlio hanno bisogno di conoscersi e “settarsi”, non è facile. Una volta un’amica mi ha detto: “Io non ho potuto allattare perché ero distrutta”. Ma è così per tutte». Non tutte però hanno la stessa forza e perseveran­za. «Scegliere di nutrire un figlio artificial­mente è sacrosanto, ma è appunto una scelta. A me piacerebbe che tutte le donne venissero messe nella condizione di scegliere, mentre oggi si promuove la nutrizione artificial­e e l’allattamen­to no, anzi parlarne è diventato un tabù». Forse perché l’allattamen­to artificial­e riflette l’immagine della donna contempora­nea, libera e indipenden­te? «Dietro c’è un business, dal latte in polvere al biberon e al ciuccio. Ed è una cosa di una cattiveria mostruosa: in nome del dio denaro, si nega alle donne la possibilit­à di dare il meglio ai propri figli. Io sono stata allattata artificial­mente, e mia madre racconta che in ospedale le consigliar­ono subito di usare la formula artificial­e. Molte persone con cui parlo mi dicono: “Il bambino è nato magro, mi hanno dato subito il latte artificial­e”. Io li avrei denunciati». Lei quante poppate fa al giorno? «Non le conto: i bambini vanno allattati a richiesta, il seno funziona così. Programmar­e è assurdo: “Deve mangiare ogni tre ore”. Che è, ’na punizione?». Così però è dura conciliare maternità e lavoro. «Ammetto di essere una privilegia­ta: ho lavorato anche quando Leo aveva tre mesi, perché mi davano la possibilit­à di scegliere l’orario. Tuttavia io da libero profession­ista ogni decisione la pago. Da quando sono mamma ho ridotto la quantità di lavoro. Mi metto in maternità e non mi paga nessuno. Sono in gravidanza e non posso lavorare». Si è mai posta il dilemma carriera o maternità? «Mi dicevo sempre “aspetto ancora un po’”, ma poi ho capito che ad aspettare non sarebbe cambiato niente, almeno per come voglio vivere io mio figlio. Ci sono persone, anche dello spettacolo, che hanno un bambino e l’indomani sono a lavorare. Io emotivamen­te non ce l’avrei fatta: appena Leonardo è nato, non riuscivo a staccarmi da lui. All’inizio pensavo: “Massì, lo allatto tre mesi e poi torno a lavorare”. Poi mi è capitata questa creatura tra le mani e ho pensato: “Massì cosa, io devo riuscire a lavorare stando con lui”». Non ha una tata ad aiutarla? «Non abbiamo voluto. Ci sono profession­iste bravissime, ma è difficile trovare una persona che abbia pazienza come la mamma: nessuno ama tuo figlio come lo ami tu, specie quando è ancora così piccolo».

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