«MI RINGRAZIANO PER AVER DATO VOCE A
CHI NON HA UN LAVORO.
È BELLO ESSERE UTILI»
Seduttore nevrotico, dai mille tic, con un fascino molto francese, Vincent Lindon è l’enfant della borghesia parigina della Rive Gauche, nipote del fondatore delle Éditions de Minuit, una delle case editrici più prestigiose di Francia. La sua carriera d’attore è sempre andata di pari passo con quella di tombeur de femmes. Nel 1988 è sul set del Tempo delle mele 3 con una Sophie Marceau paffutella e bellissima, sua partner cinematografica e personale prima dell’incontro con Caroline di Monaco. Lui e Caroline passeranno cinque anni di passione tormentata in quel di Saint-Rémy-de-Provence, dove la principessa si era ritirata con i figli. La storia non ebbe un lieto fine: dopo che Vincent aveva chiesto a Ranieri la mano della figlia, si lasciarono. Caroline sposò il super blasonato Ernst di Hannover e lui convolò con Sandrine Kiberlain, da cui ha avuto una figlia, salvo divorziare poco tempo dopo. Altre conquiste celebri: Chiara Mastroianni, sedotta e abbandonata per l’allora ministra più sexy di Francia, Rachida Dati. Conosciuta durante un talk show, è rimasta in ottimi rapporti con lui, come Claude Chirac, figlia dell’ex presidente francese. Uomo ruvido che non ha mai nascosto la sua antipatia per i giornalisti, anche se sua madre fa parte della categoria, mi convoca in un chiassoso bar parigino di Saint-Germain-des-Prés. Con mossa fulminea pesca un cubetto di ghiaccio dal bicchiere di Perrier e lo scaglia contro un piccione che aveva osato venire a beccare le briciole vicino al nostro tavolo, gridando «bestiaccia schifosa». Anche se mi intima di non fare domande sulla vita privata, pena l’allontanamento dal suo tavolo, ormai il ghiaccio (appunto) è rotto. Il piccione si è volatilizzato e lui si lascia andare alla passione per Thierry, il protagonista della Legge del mercato, il film con cui ha vinto la Palma d’oro come migliore attore all’ultimo Festival di Cannes. Thierry-Lindon è un po’ appesantito e meno seduttore ma davvero grande nel ruolo di un ex dirigente cinquantenne disoccupato, con un mutuo da pagare e un figlio disabile, costretto alla trafila umiliante della ricerca di un lavoro, sempre inferiore a quello che aveva prima. Schiacciato dalla paura di restare fuori per sempre da una logica di mercato tanto assurda quanto violenta, accetta un posto di guardia in un centro commerciale, dove si trova ad affrontare ladri disperati quanto lui. Come ha fatto a rendere credibile e affascinante questo uomo così tormentato? «Mi sono identificato, come è successo a tutti quelli che hanno visto il film in questa Europa divorata dalla piaga della disoccupazione che può colpire chiunque, dal più ricco al più povero, e che costringe a una discesa agli inferi, quasi sempre devastante. Il lavoro ormai è diventato una guerra disumana: tutti sono pronti a sbranarti per riuscire a sopravvivere». Nella sua carriera non aveva mai vinto un
premio così prestigioso. È contento che sia arrivato proprio con questo ruolo? «Molto, e non solo per la Palma d’oro. Questo premio è stato un incendio: sono mesi che vinco un premio al giorno per strada, dove la gente mi riconosce e mi ringrazia per aver dato voce ai disoccupati, una massa invisibile di esseri umani alla deriva, che sopportano sofferenze psicologiche atroci. Per un attore è una bellissima sensazione poter essere utile a mantenere viva la discussione sui temi sociali». Perché dice che i disoccupati
sono «invisibili»? I media ne parlano spesso. «Sì, ha ragione. A volte, se tutto va bene, la notizia finisce a pagina 20 dei quotidiani o a metà del telegiornale e dura un minuto e mezzo. La vita di milioni di individui è relegata a un minuto e trenta secondi. Solo il cinema ha i mezzi per andare a fondo del problema, per mostrare le facce e le sofferenze. Forse c’era proprio bisogno di un film come La legge del mercato». Il tratto più toccante del suo personaggio è
la straordinaria dignità che mantiene sempre, a ogni costo. Era così nel copione? «Lavoro da anni con Stéphane Brizé, il regista, il nostro è sempre stato un work in progress. Di questo personaggio abbiamo discusso a lungo e abbiamo deciso che non si sarebbe espresso con le parole. Thierry non si lamenta, non urla e non piange, porta il peso della sua sofferenza in silenzio, un silenzio straordinario. Per questo ci entra nel cuore. Molti hanno parlato di un film neorealista ma non sono d’accordo: è vero che racconta la vita di molti, ma il dolore abbiamo potuto solo immaginarlo». Lei è il solo attore professionista del film.
Gli altri sono persone che vivono tutti i
giorni la vita durissima che recita nel film. Come avete interagito sul set? «Ci siamo molto guardati, ascoltati e capiti. Abbiamo stretto legami forti, forse per questo non si nota la differenza tra me e loro. Era come se tutti, me compreso, aspettassero questa occasione da una vita». Che cosa farà dopo questo film? «Ho girato Journal d’une femme de chambre (Diario di una cameriera) di Benoît Jacquot, con Léa Seydoux. Un altro film intenso. Per il resto ho una vita assolutamente normale, una compagna, due figli. Vivo in un appartamento in affitto a Saint-Germain e passo i weekend nella casa di campagna, anche questa in affitto. Non presterei mai la mia faccia per la pubblicità di un profumo, come fanno tanti attori, non ho autista, assistente personale, guardia del corpo. Sono il mio manager, braccio destro, addetto stampa: sono un ribelle che fa tutto da solo. La mia vita mi appartiene e chi ho baciato, amato, sposato o lasciato, riguarda solo me e chi ha vissuto queste esperienze».
AL LAVORO
Vincent Lindon, 56 anni. Il 29 ottobre arriva al cinema con La legge del mercato.
PALMA D’ORO Lindon nella Legge del mercato con cui all’ultimo Cannes ha vinto come miglior attore, prima Palma
della sua carriera.