Sono Mister Gaga, ma non conosco Lady
OHAD NAHARIN, ballerino e coreografo israeliano, deve il soprannome alla tecnica che ha inventato. La sua storia, dal militare ai fanatici di oggi, adesso è un film. Che favorisce il dialogo
i torcono come serpenti, crollano a terra, si accartocciano. Li guida nei suoi spettacoli Ohad Naharin (a destra), 63 anni, ballerino e coreografo israeliano, protagonista del film che inaugura il Festival dei Popoli di Firenze: Mr. Gaga, di Tomer Heymann. Attenzione, però: «Mr.» non è la risposta a «Lady». «Amo Lady Gaga, mi piace in scena. Ma io sono arrivato prima. Gaga è il nome della mia tecnica di movimento», spiega. La tecnica ha conquistato anche Natalie Portman, che decanta «la capacità attraverso la danza di curare le ferite dell’animo». D’altra parte, dice Ohad, «dolore e piacere convivono in me, nel mio corpo». Ci convivono da quando, durante il servizio militare in Israele, si trovò in mezzo alla Guerra del Kippur e gli fu affidato il compito di intrattenere i soldati: «Una condizione assurda, c’erano i miei coetanei che morivano, erano feriti, traumatizzati, e noi dovevamo distrarli con uno spettacolino, mentre cadevano le bombe». Cresciuto in un kibbutz, iscritto dalla mamma alla Batsheva Dance Company a fine servizio militare («non ero precoce, ma meglio: mi è rimasto uno spirito animalesco non addomesticato»), quest’uomo – che alcuni paragonano al Gatto del Cheshire di Alice nel Paese delle meraviglie – è stato scoperto
Sda Martha Graham e portato in America. Lì, incrocia per caso Maurice Béjart che lo guarda negli occhi verdi – «ai tempi ero di bell’aspetto» –, gli fa un provino e lo prende: «Il peggior anno della mia vita, non per il lavoro ma per motivi personali», e non dice altro. Quando decide di tornare in Israele con Mari, la bella moglie ballerina, all’inizio nessuno capisce il suo stile quasi femmineo («la danza è l’opposto del macho, la musica va oltre il genere») in cui il corpo sembra non aver punti rigidi, si scompone e denuda. Per i 50 anni dello Stato d’Israele però Naharin è chiamato ad allestire uno spettacolo. Mette i ballerini in mutande, il pubblico insorge («dategli i pantaloni!»), lo «scandalo» coinvolge autorità e ospiti internazionali invitati per l’occasione. Lui però va avanti: «Non mi interessano le differenze religiose, nazionali, geografiche o etniche, ma la morale universale, ciò che accomuna gli uomini». Il suo ultimo lavoro si intitola Last Work: perché, spiega nel film, «è tempo di razzismo e fanatismo, e ci sono scelte del governo che possono mettere tutti a rischio». Ma la danza che cosa può contro la guerra? «Non c’è risposta alla guerra, tutti ne escono sconfitti. Però l’arte, e penso anche al pianista che suona Imagine davanti al Bataclan, favorisce il dialogo anziché il conflitto».