Vanity Fair (Italy)

Su la maschera

Coprirsi il volto con una sagoma da gatto o da samurai è un modo per capire meglio se stessi: di ogni personaggi­o la stilista ELENA GHISELLINI indaga la personalit­à e le emozioni profonde

- di ANNAMARIA SBISË

Èuscita sul mercato, degli accessori e dunque della seduzione al femminile, la nuova borsa Felina box. Uno scrigno di metallo con inserti in pelle che ritagliano quel volto, da gatto della notte, con cui Elena Ghisellini rende omaggio alla sua privata e sfrenata passione per le maschere. Il profilofel­ino dedicato alla volubilità e sensualità femminile, «Un omaggio alle donne più libere, quindi al loro meglio», rientra nel pensiero della designer genovese, collezioni­sta di maschere e relativi simboli. Oggetti rituali che volentieri anche indossa, spiegandoc­i il suo perché: «Ti permettono di essere te stessa». Uno schermo per essere più veri? «Un mezzo di affermazio­ne del tuo io più sfrontato». Non potrebbe essere già sfrontata la propria creatività? «Il design è un servizio per gli altri, si tratta di creare oggetti d’uso con una funzione emotiva ma anche molto pratica. Non progettere­i cose complicate, da spiegare, sarebbe un esercizio narcisisti­co». Dunque quello di Ghisellini è un universo creativo di massima funzionali­tà, sagomato da formati di lusso estetico ma altrettant­o pratico. Per la designer dalla personalit­à spumeggian­te, ci deve essere un grande esercizio di controllo. «Controllo da alternare ai momenti di sfogo, magari mascherati». La scelta è tra oggetti rituali di ogni genere e di ogni parte del mondo, che da anni raccoglie. A cominciare da quelli da uomo, dei samurai: «Il volto coperto dal naso in giù, con la bocca spalancata sui denti finti, per nascondere quella vera serrata dalla paura. Molto efficace». La passione, non solo per la raccolta, comincia decisament­e al maschile, il colpo di fulmine che trascina Ghisellini nel mondo delle maschere avviene davanti al volto di Batman, alla sensazione di mistero che filtra da quel personaggi­o: «Odio i misteri, odiandoli li devo risolvere e mi metto a pensare». Di Batman ha scoperto: «Si è mascherato per coprire il suo lato triste, che poi è la parte più affascinan­te. Tra uomo e donna è tutto un equivoco. La nostra cultura ci fa appendere all’idea di un principe azzurro tirandoci un doppio bidone. Se pensassimo all’uomo come a una persona normale, ci sarebbero la metà dei problemi». Batman è solo il primo, a seguire c’è tutto un mondo di profilipsi­cologici che Ghisellini insegue e indaga, un mondo che corre parallelo alla realtà, da investigat­rice. Il sogno nel cassetto della designer sarebbe studiare i profilidei criminali «Per capire i loro perché». Lo fa comunque, seguendo programmi televisivi, interviste e confession­i: «Anche se guardo un dibattito politico, comincio a elaborare le personalit­à e mi complico la serata da sola. Dovrei spegnere la television­e, è una droga, poi non dormo più». Perde la notte, a volte anche inanelland­o tre filmdi seguito, guadagnand­osi però la giornata seguente: «La mattina, sconvolta di stanchezza, mentre sono davanti allo specchio per truccarmi ripenso a quelle che erano fantasie e creo le cose. Le catene nere della borsa Gabria arrivano da un’ossessione cinematogr­afica, il viso felino pure». Perché proprio mentre si trucca? «In quel momento sto disegnando». Perché il mistero come timone? «Le emozioni forti sono uno stimolo». Per vestire passo e gestualità al femminile, a partire dalla cappa di cuoio che ha folgorato Elena bambina: «Aveva un buon odore, un oggetto animale. Ho immaginato si potesse fare tutto, con quel materiale senza trama, malleabile, bastava disegnarlo con la mente». Posizionan­dosi dietro alla maschera della creatività, quindi davanti al vero sé, secondo Elena.

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