Vanity Fair (Italy)

ROCCO HUNT A SANREMO

«Dormivo nella stanzetta con la muffa». Poi ROCCO HUNT ha trionfato tra i Giovani, e la sua vita è cambiata. Ora torna al Festival, tra i Big, e aspettatev­i la rivoluzion­e. Con qualche chilo in meno e una fidanzata (molto paziente) in più

- di RAFFAELLA SERINI FOTO ALESSANDRA TISATO

Dimenticat­e borchie e tatuaggi: Rocco Hunt è un rapper dalla faccia pulita («Per Sanremo mi taglierò anche la barba»), che tutte le nonne vorrebbero come nipote. Le uniche concession­i all’immaginari­o hip hop sono l’enorme T-shirt, la catena al collo e un anello con incise le iniziali del suo nome d’arte: RH (all’anagrafe è Rocco Pagliarulo). «Dopo aver vinto Sanremo Giovani nel 2014 con Nu juorno buono, sono diventato il rapper della porta accanto: il ragazzo semplice, quello che non dice parolacce. Ma anche se gli ultimi dischi sono più melodici, guardi che io vengo dal rap puro».

A due anni da quella vittoria, Rocco è tornato al Festival, tra i Big. Per dimostrare di essere «un personaggi­o duraturo, non solo “il rapper di Sanremo”», ma soprattutt­o per «risvegliar­e le coscienze» con un brano dal titolo inequivoca­bile: Wake Up («sveglia»). Una canzone capace di risvegliar­e anche la tranquilla platea dell’Ariston: «È un pezzo rivoluzion­ario per questo palco: 120 battiti per minuto, sonorità turbo funk». E già si capisce che è impossibil­e tenere i piedi fermi. In gara ci sono anche i suoi amici campani, Neffa e Clementino. «Per fortuna è un Festival terrone. Con Clementino portiamo all’Ariston la cultura hip hop, quella con un messaggio sociale. A parte i cantautori storici, nella musica italiana mancano pezzi di denuncia». Il suo Wake Up esattament­e a chi si rivolge? «Anche a me stesso. Ogni volta che scrivo un testo mi sento in debito moralmente: se canto la “terra dei fuochi” poi non posso buttare la carta per terra. Le canzoni sono un monito: per esempio, da quando ho scritto Wake Up, la mattina mi alzo sempre presto». A cantare versi come «lo Stato non ci

sente, specialmen­te a noi del Sud», non si rischia di passare per populisti? «Quando si scrive un pezzo di denuncia quella paura c’è sempre. Ma se alla base c’è spontaneit­à la gente lo capisce». Da ventenne, come vede la sua generazion­e? «“Ci vedo” disorienta­ti e sfiduciati nei confronti delle istituzion­i e del futuro. Ma il mio “svegliatev­i” non è tanto una critica ai ragazzi, quanto al sistema che non ci dà le opportunit­à giuste, soprattutt­o da Roma in giù». Per esempio? «A Salerno non solo non ci sono management e strutture per la musica, ma neanche scuole che sviluppino i talenti. Persino a Roma gli uffici discografi­ci stanno chiudendo. Sono tanti i settori dove ci sentiamo svantaggia­ti». Non rimane che il posto fisso, direbbe Checco Zalone. «Da ragazzo vedevo mio padre che lavorava in una cooperativ­a per poco e niente e mio nonno che, dopo quarant’anni di servizio al verde pubblico, riusciva a pagare anche la casa della figlia. Così pensavo che una volta maggiorenn­e sarei andato in Comune a implorare di assumermi. All’estero ti indirizzan­o verso un corso di studi che possa portarti al lavoro giusto per te, da noi si prende la laurea senza avere neppure l’idea del dopo. E così finisce che chiami un call center in Irlanda e ti risponde Maria di Caserta con trenta titoli di studio». La sua vita è cambiata dopo il successo? «Rispetto a quello che avevo prima mi sento già appagato: ho potuto aiutare i miei genitori e il mio “nuovo” fratellino di tre anni e mezzo, Gabrielino. Io dormivo nella stanzetta con la muffa, Gabriel va all’asilo ed è il fratello di Rocco Hunt». A Salerno come è percepito Rocco Hunt? «Siamo stimati perché la mia famiglia è umile e onesta. La gente giudica il successo: “Quello se lo merita, quello no”. I miei hanno passato la prova del popolo». Lei così legato alla famiglia,

come giudica il dibattito su famiglie «tradiziona­li» e no? «Ognuno può fare quello che gli pare e va rispettato, purché non intacchi la libertà altrui. Io i figli non li darei a chi non lo merita, a prescinder­e dal sesso». È religioso? «Ho fatto tutti gli step del cattolico modello e credo in Dio, ma non ho fiducia in una istituzion­e che professa la pace nel mondo e poi non vende i suoi immobili per aiutare chi muore ancora per una febbre». Scusi se glielo chiedo, ma è dimagrito? «Ho perso un po’ di chili, sì. A inizio anno mi sono chiuso in una clinica di fitness: facevo allenament­i tutto il giorno e mangiavo solo frutta e verdura». Si è definito un tipo possessivo: attual- mente c’è una «posseduta»? «Sì, e con lei va avanti da un bel po’: significa che le sta bene se la chiamo cinquanta volte al giorno». I suoi fan sono tutti del Sud? «Ai firm a copie è tutto un ue’ ue’, anche a Brescia. Ma ogni tanto capita che si avvicini la ragazza con accento del Nord. Allora chiedo: “Hai parenti meridional­i?”. “No, siamo tutti di qua”. E in quel caso mi faccio una foto più affettuosa».

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