ECO, UN CAMPIONE (nello sport di capire il mondo)
l Dams di Bologna le lezioni di Umberto Eco erano affollate come concerti rock. Ci veniva anche chi non dava il suo esame, solo per assistere alle performance di quel professore straordinariamente erudito e follemente divertente. Insegnava Semiotica mescolando Tommaso d’Aquino e Dylan Dog, Mike Bongiorno e Kant. Imparavamo ridendo e, oltre alla bibliografia assegnata per gli esami, divoravamo i suoi saggi: dal Diario minimo alla Struttura assente, da Apocalittici e integrati al Superuomo di massa. Io mi ero iscritta al Dams, il corso di laurea della Facoltà di Lettere in Discipline delle arti, della Musica e dello Spettacolo, proprio l’anno in cui uscì Il nome della rosa, il 1980. Da lì a poco Eco sarebbe stato sulle copertine dei magazine americani e sarebbe andato a cena con Sean Connery e Woody Allen, ma fino all’uscita del suo primo romanzo era soprattutto un professore: lo straordinario professore universitario che aveva sconvolto il modo di intendere il ruolo dell’intellettuale. Con lui capivi perché la letteratura e la filosofia ti emozionavano tanto: non erano materie lontane, facevano parte della tua vita quotidiana ed erano in relazione strettissima con tutte le altre cose che ti interessavano, dal cinema ai fumetti, alla televisione. Non ti sentivi più strano o fuori posto se amavi allo stesso modo un filosofo, uno scrittore o un cantante, perché Eco ti aveva spiegato che era tutta questione di segni. Eco con Renate Ramge, 81 anni,
accademica e scrittrice, che sposò
nel 1962. Quando lo rividi a Milano, dove avevo cominciato a fare la giornalista, era diventato l’intellettuale italiano più famoso nel mondo, ma portava gli stessi brutti occhialoni, fumava le stesse sigarette puzzolenti e non aveva smesso di fare battute fulminanti con quella strana «r» alessandrina. Frequentavo i suoi figli Stefano e Carlotta, passammo un Capodanno e qualche vacanza insieme. Un’estate li raggiunsi alle isole Fiji, dove il professore stava facendo i sopralluoghi per scrivere L’isola del giorno prima, suo terzo romanzo. Si era tagliato la barba e sembrava nudo. Quando non leggeva, faceva snorkeling. Era sempre concentrato sul lavoro – stava studiando persino astronomia per il romanzo che aveva in mente, la storia di un giovane piemontese che nel 1643 naufraga nei mari del Sud – ma a cena tornava amabile e divertente, perché adorava mangiare e bere bene. Non era granché prestante, ma molto prima di diventare ricco e famoso aveva conquistato una ragazza tedesca intelligente e bellissima, Renate, che faceva la grafica in Bompiani, e l’aveva sposata, una delle sue grandi fortune. Renate era, ed è, dolce e pratica, e lo proteggeva da tutto, o almeno ci provava. Come ha scritto Alessandro Baricco, Umberto Eco «era semplicemente il più grande in quello sport che a molti può sembrare noioso e invece è incantevole: fare l’intellettuale», che vuol dire cercare di capire il mondo per raccontarlo.