Vanity Fair (Italy)

LA PROPOSTA A MIA MOGLIE

HO FATTO TRASCRIVER­E A UNA CALLIGRAFA TUTTE LE CLAUSOLE MATRIMONIA­LI A CUI MI IMPEGNAVO. L’HO FATTA COSÌ

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vero che una volta ho detto che il Mona parla di sesso e morte, ma vorrei non averlo fatto, perché c’è molto più di questo». Cosa, esattament­e? «Il bisogno di rimuovere le ragioni per cui mentiamo a noi stessi». Sopra al museo c’è, in una parte del complesso, la casa dove vive Walsh con la famiglia. Uno dei pavimenti è di vetro per godersi lo spettacolo delle opere sotto. Intorno, il grande giardino su cui si a acciano il ristorante e l’hotel del museo (in costruzion­e) è il regno di Kirsha Kaechele, la sua seconda moglie. È lei a organizzar­e i mercatini new age e i festival di rock alternativ­o. «Ci siamo conosciuti ad Art Basel», racconta Walsh, «lei sedeva al bar. Ho chiesto la sua mano qualche tempo dopo, a New York. Ho scritto su un lungo papiro di carta una specie di contratto con tutte le clausole a cui promettevo di applicarmi se mi avesse sposato, e ho trovato una bravissima calligrafa che me lo ha trascritto. Peccato che, a lavoro nito, lei fosse già tornata qui a Hobart. L’ho inseguita. Abbiamo cenato su un gigantesco tavolo scolpito nel ghiaccio». Kirsha si è rivelata una consorte all’altezza: per il cinquantes­imo compleanno del marito ha fatto fare una torta dal calco del pube di una sua ex danzata. Da pochi mesi sono diventati genitori di un bambino (per lui è il terzo glio). Su che cosa non scommetter­ebbe mai?, gli chiedo, praticamen­te sicura che tirerà fuori il suo cuore di padre. «Sulla morte di Boltanski», risponde. Mai sottovalut­are uno come Walsh. A proposito, dove si vede tra vent’anni? «In un’urna, esposto nel museo».

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