Questioni aperte
Non chiude mai nulla ermeticamente CHIARA PISA, né i barattoli né le storie d’amore. Perché «mettere il tappo» alle cose, e ai sentimenti, è un po’ come ingabbiare se stesse
Chiara Pisa, direttore generale dell’Orologeria Pisa che di recente ha aperto una boutique in via Verri a Milano. ottiglie, barattoli, creme e medicine, la nostra vita è tutta un apri e chiudi. Non per Chiara Pisa, nipote di Ugo e glia di Maristella Pisa, terza generazione del più celebre negozio di orologi di Milano, che di tutti questi tappi non ne chiude neanche uno. In via Verri, Pisa ha appena aperto la nuova sede dipanata su tre piani, compresi di laboratorio quick service e biblioteca aperta al pubblico, che seguono una sala satellite dalle pareti trasformiste, in cima alla palazzina che gestisce il meglio del tempo. Un mondo di lusso specializzato e di precisione meccanica, in cui Chiara Pisa è immersa da più di quindici anni, dal 2012 in veste di direttore generale. Precisa, mentre apre e chiude riunioni, situazioni e strategie d’impresa, come fosse diventata lei stessa un meccanismo inesorabile. Nelle ore d’u cio. Da cui adesso usciamo, per parlare del tempo libero che si rivelerà meno controllato, assieme al tanto humour che Chiara sta per sfoderare. Il suo piccolo segreto, come già accennato parlando di tappi e tubetti intorno a noi, è non chiudere niente, né la bottiglia dell’olio né i rapporti d’amore (passando da un tema all’altro), con il risultato di: rovesciare i liquidi sulla tavola e pure i progetti. In sintesi: «Lavo molte tovaglie e sono ancora single, anche se il mio sogno è avere una famiglia con tre bambini». Cominciamo dall’olio, che potrebbe essere altrimenti un dentifricio o un tupperware che conserva biscotti, perché non chiuderli? «È come se avessi paura di de nire le cose. Un amico mi ha appena fatto notare che con i miei puntini di sospensione tengo aperti persino i discorsi, nei messaggi sul cellulare». La paura di chiudere uno shampoo ci pare più complicata da sviscerare di una conversazione lasciata in sospeso via sms, ma la curiosità ci fa passare direttamente al perché non de nire mai le storie d’amore: «Forse ho paura di rimanere ingabbiata, nella famiglia». Una rispettabilissima sensazione di claustrofobia che pare risolvere l’indagine, se non fosse seguita dal suo esatto opposto: «Ma la mia vera paura, avendo so erto un’infanzia da glia unica, è rimanere da sola». Riprendiamo allora dal non sigillare l’amore sull’altare: «Scelgo persone complicate, scartando automaticamente la normalità». I tappi dello scenario emotivo restano aperti, passiamo agli oggetti. Chiara non chiude bene niente, si parla di lattine e barattoli, di borse spesso macchiate da trucchi e creme, oppure bagnate da bottigliette d’acqua e di Coca-Cola, tutte avvitate male ad arte: «Giro solo un pezzettino, lasciando la questione inconclusa, lievemente in diagonale». Lo shampoo resta aperto e basta, come il Cif. In tavola, i danni a macchia d’olio sono sugli ospiti: «Sapendo che è tutto aperto non sbaglio, sono gli altri che rovesciano tutto». Senza mettere in concorrenza tra loro ospiti, olio e danzati, ci si domanda se non sarebbe più semplice chiudere: «Infatti mi complico la vita da sola». Bisogno di un lato hippie in una vita d’ingranaggi? «Magari! Avrei voluto avere 25 anni negli anni ’70». A suo modo li ha rivisitati, con un eccentrico angolo ribelle che comporta borse e valigie a rischio, biscotti molli, creme che scadono, per non parlare di medicine, marmellate e matrimoni. Ma ogni rivoluzione ha i suoi costi.
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