BAMBINI RE
Non so se sia sua, del preside Ludovico Arte, la definizione «Bambino Re», ma mi ha colpito. Ho letto su Repubblica il preside dell’Istituto tecnico statale per il turismo Marco Polo di Firenze raccontare la storia di un suo alunno ritardatario che, dopo l’ennesimo richiamo degli insegnanti a lui e ai suoi genitori, e dopo il suo ennesimo noncurante ritardo – e abitava vicino: mentre tanti che dovevano alzarsi all’alba per arrivare in tempo da fuori Firenze non tardavano mai –, un giorno viene lasciato fuori dal portone della scuola e a questo punto, indignato, chiama i carabinieri. A quel ragazzo non passava per la testa di avere dei doveri, pensava di avere solo diritti. Il preside scrive: «Dobbiamo insegnare ai ragazzi a essere liberi. Ma la libertà senza responsabilità si trasforma in delirio di onnipotenza. Nascono così i Bambini Re. Quelli che diventano gli adulti peggiori».
Penso ai nostri figli adorati, coccolati e iperprotetti, che per noi genitori anziani adolescenti non devono far nulla tranne essere felici, seguire le loro inclinazioni, realizzarsi, divertirsi, poi penso al racconto di Annalena. Annalena è andata in Moldavia su un pullman di badanti per raccontare le donne che lavorano in Italia per mantenere le famiglie lontane – donne che lasciano i figli a casa, in paesi sperduti a due ore di buche da Chisinau, li lasciano alla nonna, a un fratello, a un conoscente – e per raccontare dei loro figli. Volevo sapere di loro, di quei ragazzini moldavi che dormono in sette con la nonna in una stanza pulitissima coi tappeti sui muri e, quando va bene, vedono la mamma una volta all’anno, quando fa il viaggio di due giorni col pullman per andarli a trovare portando pacchi di vestiti ed elettrodomestici. Di cosa fanno, di come stanno quei ragazzini che non hanno quasi niente, che vanno a scuola, aiutano la nonna, aspettano la mamma e vivono in piccole case pulite aspettando che passi l’inverno che in Moldavia è lunghissimo e non finisce mai. Annalena mi ha raccontato di bambini educati, sorridenti, gentili, coi quaderni perfetti e ordinati. Bambini che aiutano in casa, fanno i letti, ubbidiscono, sono grati alle mamme che lavorano per mantenere loro, le nonne, i fratelli, famiglie intere (ché spesso i padri da quelle parti non ci sono mai stati o non ci sono più, e se ci sono bevono, o comunque non trovano lavoro in Italia o in Russia o in Israele, a differenza delle madri). Questi ragazzini con la mamma che lavora in Italia e torna a trovarli una volta all’anno laggiù sono i più fortunati: tanti altri sono letteralmente abbandonati, e crescono negli orfanotrofi. Il Paese è povero, ci sono anche madri e padri che vanno e non ritornano.
Il mondo è sempre più spaccato tra chi ha troppo e chi ha troppo poco, ed è un’ingiustizia palese, soprattutto per i bambini. Bambini che hanno troppo – troppa protezione, troppe cure, troppi beni materiali – e altri che non hanno nulla, e naturalmente ci sono bambini nel mondo che stanno molto peggio di quelli moldavi. Domenica 20 era la Giornata mondiale dell’infanzia: «Le Nazioni Unite hanno affidato all’Unicef il compito di garantirne e promuoverne l’effettiva applicazione nei 196 Stati che l’hanno ratificata. Quest’anno l’Unicef celebra anche il suo 70° anniversario, una storia di infanzie negate e ritrovate, di bambini curati e protetti, di bambini salvati», ha ricordato il presidente dell’Unicef Italia Giacomo Guerrera. Nella Giornata dell’infanzia io ho pensato anche a loro, ai nostri Bambini Re che rischiano di diventare uomini scontenti, infantili e incapaci di impegno.