NON SO CHI ERA
MIA MADRE UCCISA, E IO
portati in un centro di accoglienza per minori, una realtà completamente diversa. «Dovete stare lì per poco», ci dicono tutori e psicologi. Ma passeranno altri quattro anni. Io e mia sorella, che eravamo abituati al clima comunque familiare dell’affido, veniamo divisi: camera dei maschi e camera delle femmine. Quando inizia la scuola superiore, il fine settimana lo passiamo a casa con mio padre, che ha la libertà condizionata con obbligo di firma. Io rimango chiuso, e continuo a coltivare la segreta speranza che mia madre sia ancora da qualche parte. A 18 anni divento tutore di mia sorella: torniamo stabilmente al nostro paese dove viviamo con nostro padre, che nel frattempo ha saldato il suo conto con la giustizia grazie a uno sconto di pena per buona condotta. A 19 anni me ne vado di casa. Mia sorella si sposa e ha due splendidi figli, che adoro. Io mi diplomo e mi laureo al Conservatorio. Ho varie relazioni. Mi sposo. Negli anni del matrimonio trovo un articolo di giornale che ricostruisce il caso della mia famiglia. Leggo, con tutte le «farciture» del giornalismo, la fotografia della tragedia. Mia mamma a terra col suo vestitino. Strangolata. Accanto a lei, una valigia semiaperta, piena di vestiti che escono dalla valigia e si sparpagliano a terra (ovviamente il cronista ha pensato bene di mettere anche i nostri nomi). Mia moglie mi regala Fai bei sogni. Oggi quel matrimonio è finito, e ho accanto un amore così splendido che non so per quale motivo dovrei meritarmelo. Faccio di tutto, a volte, per sabotarlo. «Ringhio» e allontano. E lei con amore mi riprende. Ma senza nessun cappio. Solo Amore. La nostra infanzia è stata gestita dalle figure competenti in modo totalmente incompetente. Se ho le prove inconfutabili che mia madre è morta, perché c’è la lapide, in fondo io e mia sorella non l’abbiamo mai salutata. Lo hanno fatto per tutelarci, lo capisco, ANDRƒ DA LOBA