PUNTO SU MIA MOGLIE
Vuole «liberare la Lombardia da Lega e Forza Italia», ma voterà «Sì» al referendum per l’autonomia voluto da Maroni. Contraddizioni? Non per GIORGIO GORI, che ha un asso nella manica (e nell’armadio)
Ci sono delle domande che ormai si fanno in automatico a chi si candida in politica. Un tempo, forse, la domanda onnipresente era: «Crede in Dio?». Oggi va meno, si esplorano più caute trasgressioni: «Ha mai fumato una canna?». Banale, ok, ma c’è gente che vuol saperlo. Giorgio Gori zero spinelli. C’è qualcosa che ha nascosto ai suoi genitori? «Da ragazzo? Se non l’ho detto allora, non lo sanno neanche adesso». Ma prima che si architettino scenari oscuri, la trasgressione ha l’irresistibile sapore della provincia di 40 anni fa: «Da studente, il pomeriggio andavo al bar a giocare a carte e qualche volta mi prendevo una ciucca». Giorgio Gori, 57 anni, da sei iscritto al Pd, sarà probabilmente il candidato del centrosinistra che sderà il leghista Roberto Maroni alle prossime elezioni regionali in Lombardia. Bergamasco, è da tre anni sindaco della sua città: laurea in Architettura, giornalista, poi brillante manager nelle Tv berlusconiane, fondatore nel 2001 della casa di produzioni televisive Magnolia, è sposato da 22 anni con Cristina Parodi con cui ha tre gli (Benedetta, Alessandro e Angelica di 21, 20 e 16 anni). Allora, tenta l’impresa di portare a sinistra il governo della Lombardia dopo quasi un quarto di secolo di centrodestra? «Ci sono buone ragioni per farlo. Credo che i lombardi abbiano voglia di cambiare, e ci sono segni visibili di crepe nel sistema di potere regionale che chi come noi è abituato a lavorare e vivere con qualità ed ecienza non è più disposto a perdonare. Penso al trasporto, quotidiana soerenza dei pendolari, ma anche alla tanto decantata sanità – negli ospedali ci sono tempi di attesa insopportabili e i pronto soccorso sono intasati. Penso al problema dell’assistenza dei non autosucienti: l’80% delle famiglie si deve arrangiare. Penso all’ambiente, dove si attuano con grande cautela solo minime misure difensive sui mezzi più inquinanti. Poi c’è il grande tema dell’equità:
vengono sempre sbandierati dati medi, interpretiamoli». Come? «Ci sono persone e aziende che stanno benissimo, ma i dati su chi vive in povertà assoluta, e sulle famiglie a rischio, qualcuno li guarda davvero? E quel 20% di giovani Neet (ossia: Not engaged in Education, Employment or Training, ndr) che non studiano né lavorano – nella ricca Lombardia che produce il 20% del Pil nazionale – non è forse uno scandalo? Voglio dire che tutte le politiche degli ultimi anni non hanno considerato un’ampia fascia di cittadini esclusa dal benessere». La sinistra però è in grande di coltà in Europa, per non parlare dell’Italia. «In Lombardia siamo pragmatici, la dierenza la fanno i cittadini che non hanno tessere in tasca e quell’ampia fascia che non
appartiene né alla sinistra né alla destra ma giudica ciò che vede. Qui gli amministratori locali di sinistra hanno dato prova di gestire la cosa pubblica con competenza e attenzione. Io lavoro per una sinistra non ideologica e non nostalgica». I voti del suo Pd non bastano, però. «Infatti. È necessario che chi si riconosce a sinistra non faccia scelte diverse: farebbe un grande regalo alla destra. Ci sono tensioni, ma credo che la Lombardia debba essere un’eccezione, per le ragioni che ho detto». Crede che anche Movimento Democratico e Progressista voterà per lei? «Sì, penso di sì, ne stiamo parlando. Passando anche attraverso le primarie, e se siamo tutti pronti ad assumere poi un impegno vincolante. Alle Regionali chi ha un voto più dell’altro governa per 5 anni: abbiamo necessità di stare insieme per liberare la regione dalla Lega e Forza Italia». Ci sono temi in Lombardia, come l’immigrazione e la sicurezza, che sembrano scivolosi per la sinistra, mentre sono capisaldi per i suoi avversari. «Se noi rinunciamo a spiegare che la legalità è la strada per la sicurezza, rinunciamo al nostro ruolo. Prendo molto sul serio le paure della gente, e quindi credo sia necessario spendere tempo per raccontare come stanno davvero le cose – fatti, numeri, la realtà, e le prospettive di un Paese e di una regione che hanno bisogno della forza lavoro straniera – e dando risposte di governo. Io non credo che l’immigrazione sia quell’emergenza incontrollabile che ha spaventato gli italiani, ma credo anche che lo Stato debba mettere dei vincoli e però prevedere incentivi – veri, importanti, strutturali, non solo qualche centinaia di euro a immigrato – anché per le amministrazioni locali diventi conveniente avere degli stranieri». A proposito di immigrazione, che cosa pensa dell’azione del ministro Minniti? «Che sta recuperando molto del lavoro non fatto negli anni scorsi. Sta facendo sia il ministro degli Interni sia quello degli Esteri». Le Regioni sono enormi centri di spesa, di potere e quindi di corruzione. Commentando pochi giorni fa una vicenda giudiziaria lombarda, il procuratore aggiunto della direzione antima a di Milano, Boccassini, ha parlato della «facilità estrema della ’ndrangheta di in larsi nel tessuto istituzionale». «Vero rispetto a chi ha gestito le istituzioni lombarde negli ultimi anni, ma non vero in assoluto: per questo ci vuole un cambio deciso. Penso ai dispositivi di controllo – oggi sono molto laschi – e alla selezione dei rappresentanti, del personale politico. Io la farò con altri criteri, di competenza e reputazione delle persone: non voglio incapaci, e di certo non basterà aver raccolto tanti voti. Non penso che la giunta debba essere solo di candidati eletti, infatti a Bergamo ho pescato persone sia tra chi mi aveva sostenuto sia tra i tecnici. Nel caso della Regione, data la complessità, farò ancora più attenzione». Lei si è pronunciato a favore del referendum di Maroni per l’autonomia lombarda il 22 ottobre. Pisapia l’ha de nito «una tru a». Chi ha ragione? «Tutti e due. Maroni dice boutade, dà obiettivi irrealistici, sventola la bandiera dell’autonomia dopo aver bocciato, 10 anni fa, il percorso ragionevole proposto da Prodi. Credo quindi che sia più credibile smascherare distorsioni e bugie della Lega». Lei è renziano della prima ora. Renzi le ha mai o erto un posto nel suo governo? «No». Avrebbe accettato? «Sì, penso di sì. Ma non ho rimpianti. Nel dicembre del 2012 mi candidai e non andò bene. Ma le cose migliori che mi sono capitate – la Tv, alla quale sono approdato dopo essere stato licenziato da Feltri a Bergamo Oggi, e la poltrona di sindaco a Bergamo per la quale mi candidai dopo aver perso alle parlamentarie – sono nate da eventi negativi». Pensa di essersi smarcato dall’immagine di uomo televisivo, manager berlusconiano ma anche, con Magnolia, produttore tra l’altro dell’Isola dei Famosi? «Sicuramente questi anni a Bergamo sono serviti. All’inizio percepivo didenza, c’è voluto un po’ a scongelare la situazione, a eliminare una somma di tabù». Lei che l’ha fatta per anni, che cosa guarda oggi in Tv? «Non la guardo quasi mai. Sono stati 27 anni intensi, la misura era colma». Però adesso, per un’elezione diciamo «generalista» come quella lombarda, la sua vecchia immagine può tornare utile. «Sono d’accordo». In più c’è sua moglie, la dolce, bella, impeccabile Cristina Parodi che sarebbe perfetta di suo, e in più prende il timone di Domenica in… «… E che non credo si spenderà in campagna elettorale. Mia moglie è la mia vera fortuna. Ma non, come è stato ridicolmente scritto, perché sarebbe la mia consigliera politica. Mi dà consigli di vita, che è molto più importante». È convinta della sua candidatura? «Mi ha incoraggiato. È una donna con grande capacità di analisi e di sintesi. Fatto l’elenco dei pro e dei contro, ho avuto il suo placet». Quali erano i contro, sulla vostra lista? «Ci sono dei rischi, ovvero si può perdere; è un’esperienza dura, faticosa, sicuramente anche spiacevole. Però sono fortunato, non vivo di politica, l’ho fatta scegliendola. Costantemente mi ripeto che se nisce non è un dramma, ma che se non lo faccio io, chi lo deve fare?». Se dovesse vincere, che cosa indosserà sua moglie, che ha festeggiato la vittoria del 2014 mettendo lo stesso vestito low cost scelto da Michelle Obama per festeggiare la rielezione del marito? «Non quello: l’abbiamo messo all’asta in una festa per rientrare un po’ delle spese della campagna e l’ha comprato la moglie di Giacomo Agostini». Non avrà che l’imbarazzo della scelta: la passione di sua moglie per i vestiti è leggendaria. Quant’è grande la sua cabina armadio? «Eh… Le dirò che non basta mai, che riesce a mettere la sua roba anche da me, e che trovo le sue scarpe anche nella mia scarpiera. Praticamente abbiamo cambiato casa per il guardaroba di Cristina».