Vanity Fair (Italy)

LA CORSA ZOPPA DEGLI ITALIANI

- M.C.

L’Italia e l’Oscar, una relazione che sul Facebook di una volta si sarebbe detta: complicata. Forse perché noi pensiamo di meritarcel­o sempre, anche quando i lm candidati non li andiamo a vedere. È quella forma di patriottis­mo che ci prende a caso, un orgoglio ferito che guarisce presto, lasciando solo uno stuolo di attori che «sono stato candidato all’Oscar» perché un loro lm è

nito miracolosa­mente nella cinquina. Una volta c’era da inorgoglir­si per davvero. Ci sono stati anni in cui si vinceva due volte di seguito: 1957/1958, La strada e Le notti di Cabiria, sempre Fellini; 1964/1965, 8 1/2 di Fellini e Ieri, oggi, domani di De Sica; 1971/1972, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Petri e Il giardino dei Finzi Contini di De Sica. Ci sono stati anni in cui si veniva candidati 5 volte di seguito: dal 1976 al 1980 un

lotto che comprende Profumo di donna di Risi, Pasqualino Settebelle­zze di Wertmüller, Una giornata particolar­e di Scola, I nuovi mostri di Monicelli/Risi/Scola, Dimenticar­e Venezia di Brusati. Undici i premi totali, di cui 4 a Fellini e altrettant­i a De Sica (i primi due – per Sciuscià e Ladri di biciclette – detti Oscar speciali, cioè assegnati direttamen­te dalla giuria senza passare dalla cinquina). Ultimament­e però che fatica. Ha sempre vinto l’Italia che l’America aveva già in testa: Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore (la Sicilia, Morricone), Mediterran­eo di Salvatores (quel che resta della commedia all’italiana, la partita di calcio), La vita è bella di Benigni (la guerra, i bambini), La grande bellezza di Sorrentino (Roma, Fellini). Levando Jep Gambardell­a, l’ultimo candidato è del 2006 (La bestia nel cuore di Cristina Comencini) e l’ultimo

nito nella shortlist di 9 titoli è del 2008 (La sconosciut­a di Tornatore). Uno su 5 ce la fa. Non è un’equazione matematica, ma sembra la regola degli ultimi 10 anni di cinema italiano. Non ce l’ha fatta nemmeno Gomorra di Garrone (2008), né Cesare deve morire dei fratelli Taviani (2012); né, l’anno scorso, Fuocoammar­e di Gianfranco Rosi. Nessuno si ricorda nemmeno di questi premi, gurarsi le mancate nomination. E però quanti pezzettini di orgoglio nazionale ci hanno tolto, gli americani.

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