Il mio rap per papà
In fuga con la famiglia da due uragani, la scrittrice (e musicista) di Puerto Rico RITA INDIANA «canta» il suo amore per chi non c’è più
Ho inseguito Rita Indiana, 40 anni, fra due uragani. Ci eravamo date appuntamento via Skype per chiacchierare di Papi, il suo nuovo romanzo (NNE, pagg. 240, € 17; trad. di V. Martinetto), dopo I gatti non hanno nome, uscito l’anno scorso. Ma non avevamo messo in conto che dopo Irma sui Caraibi si stava per abbattere Maria. Il giorno dell’appuntamento, la scrittrice è in fuga, da Puerto Rico a Santo Domingo, con lei la moglie e i gli: «Eravamo senza elettricità da due settimane, le cose potevano solo peggiorare. Non immaginavamo quanto. Puerto Rico è in ginocchio, molti amici hanno perso tutto. Ai Caraibi siamo abituati agli uragani, ma non quattro in poco tempo, non così violenti. I cambiamenti climatici forse non li causano, ma alzano la temperatura dei mari e questo li rende furiosi». Rita è alta come un giocatore di basket, sorriso dolcissimo, attivista dei diritti Lgbt, un passato musicale da diva del merengue alternativo (la sua band si chiamava «Rita Indiana y los Misterios»). E una scrittura pop incandescente che fa scintille. Papi (di cui sua moglie, Noelia Quintero, sta girando un lm) è un lungo mantra elettrico nella testa di una bambina di otto anni, in spasmodica attesa di un padre lontano che nalmente sta per arrivare, carico di doni assurdi, sneakers gigantesche, una Ferrari per andare a prendere il gelato. Ma papi non è un supereroe, è un narcotracante; è l’uomo che ha rovinato la vita di sua madre; è Jason di Venerdì 13 più Freddy Krueger di Nightmare. Leggere Papi è come immergersi nel ow torrenziale di un pezzo rap. «Il bello è che quando ho scritto il libro, nel 2005, non avevo ancora fatto nulla di musicale, la band è arrivata tre anni dopo. Ma la voglia di provare c’era, nascosta nella mia testa. Il mio desiderio di musica ha prodotto un romanzo invece che un disco». Chi è «papi»? «Non è mio padre, ma c’è tanto anche di lui. È stato assassinato, a New York, quando avevo 12 anni, lo amavo moltissimo; anche lui come il papi del libro era un uomo fuori del comune. Quel ume di parole che scorre nella testa della bambina è un modo per riempire il vuoto». Non le torna mai la voglia di fare musica? «Ad aprile ho fatto un concerto dopo nove anni. Ma anche se mi piace dire che sono nata nell’anno in cui i Talking Heads hanno pubblicato il primo album, il 1977, ne avevo abbastanza degli e¨etti del successo. Preferisco concentrarmi sulla scrittura. E provare altro. Sono alle prese con la sceneggiatura di un lm horror: spero sia terricante come fu per me vedere l’Esorcista».