Dedicato A Chi Crede Sia Solo Un ClichŽ
uno dei simboli più facili da disegnare al mondo. Anche un bambino può prendere matita e carta, tracciare un cerchio sulla carta e poi aggiungere tre linee, una che taglia a metà lo spazio compreso nel tondo e altre due rivolte verso il basso, come gambe aperte. Gambe pronte a marciare. L’autore di quel segno, Gerald Holtom, raccontò che uno dei “significati” di quel simbolo, nato nel 1958, era proprio citare il gesto di paura, di orrore, di un celeberrimo quadro: «Ero in uno stato di disperazione. Profonda disperazione. Ho disegnato me stesso: la rappresentazione di un individuo disperato, con le palme delle mani allargate all’infuori e verso il basso, alla maniera del contadino di Goya davanti al plotone d’esecuzione. Ho dato al disegno la forma di una linea e ci ho fatto un cerchio intorno». Quel tratto elementare, nato in verità per la campagna contro la minaccia nucleare – preoccupazione assai viva tra la fine dei Cinquanta e l’inizio dei Sessanta – è divenuto nel tempo un marchio conosciuto come quello della Coca-Cola. È stato cucito su migliaia di bandiere, è stato scritto su migliaia di muri, è stato composto sulla terra da catene di persone. Quel simbolo è impresso nei cuori di generazioni intere che volevano «fare l’amore e non la guerra». Perché la guerra allora non era solo una minaccia, un rischio. Era sangue, morti e feriti. Era dolore e lacrime. Sono caduti cinque milioni di vietnamiti e decine di migliaia di ragazzi americani per una guerra stupida e inutile. E il mondo sospese il fiato durante la crisi dei missili di Cuba, che avrebbe potuto precipitare la Terra verso la più fatale delle guerre, l’ultima. Movimenti pacifisti, gruppi musicali, film e concerti sono stati caratterizzati da quel segno. Esistono foto di soldati che si sono tracciati il simbolo della pace sulle mani che impugnavano il fucile che erano stati costretti a imbracciare. Siamo la generazione, in Occidente, che ha vissuto la più lunga esperienza di pace degli ultimi secoli. La guerra è stata intorno a noi, vicina a noi. È stata nei Balcani, con il suo portato di fosse comuni e di conflitti etnici. È ora visibile nelle macerie materiali e umane di Aleppo. Sta scritta, nel suo orrore, nello sguardo sperduto di quel bambino insanguinato che in silenzio, in un’ambulanza, si deterge il sangue dal viso, come fosse normale. Quel simbolo usato mille volte, che il suo autore non volle brevettare e dal quale non ottenne alcuna ricchezza, temo sia bene non venga oggi messo in un cassetto della soffitta. Quel cerchio e quelle tre linee possono esserci enormemente utili, nel grande caos di questo tempo smarrito. •