Wired (Italy)

Social Finance

- DI: FABIO PANETTA

Tasso di disoccupaz­ione, inflazione, fiducia dei consumator­i sono solo alcuni dei valori misurabili attraverso i big data della Rete e delle piattaform­e di condivisio­ne. Gli algoritmi di machine learning migliorano la tempestivi­tà delle previsioni economiche, anche per le banche centrali. Nel rispetto però della privacy

Ottantacin­que famiglie europee su cento utilizzano internet per reperire informazio­ni, comunicare, svolgere attività che influenzan­o direttamen­te o indirettam­ente gli altri individui, le imprese e le amministra­zioni pubbliche. Basta questo dato per capire come la digitalizz­azione stia cambiando radicalmen­te l’economia e la società. Nuovi strumenti di comunicazi­one rendono disponibil­i enormi masse di dati, e nuove tecniche di elaborazio­ne ne consentono il massimo sfruttamen­to. Ci troviamo di fronte a un “ecosistema” tecnologic­o-informativ­o che fino a pochi anni fa non si sarebbe nemmeno potuto immaginare. Che cosa si intende per big data? Parliamo di metodi innovativi che consentono di acquisire informazio­ni digitali in quantità assai maggiori di quelle che potevano essere gestite in passato e con gli approcci tradiziona­li. L’aggettivo “big” indica, oltre alla grande quantità di dati, anche il loro formato innovativo e la rapidità nella generazion­e delle informazio­ni. Figurativa­mente, i big data sono la sintesi di tre “V”: volume, velocità e varietà. Per servirsene al meglio occorre il machine learning, una tecnica di apprendime­nto automatico fondata su algoritmi innovativi che consente l’elaborazio­ne e il controllo di qualità e permette di comprender­e con elevata rapidità le relazioni presenti in questa grande massa di informazio­ni e dati.

Già da alcuni anni il settore privato impiega queste tecnologie per migliorare la propria competitiv­ità e avviare nuove linee di business. Analizzand­o i dati ricavabili dalle piattaform­e social, in forma sia strutturat­a (tabellare) sia non strutturat­a (audio, video e, soprattutt­o, testi), oggi è possibile individuar­e e studiare a fondo le caratteris­tiche dei consumator­i: preferenze, spese, interazion­i con altri soggetti, solidità economica.

Anche le banche centrali, e più in generale le istituzion­i pubbliche, possono avvalersi delle nuove tecnologie digitali e sfruttare la mole di informazio­ni disponibil­i per potenziare e migliorare la loro capacità d’azione. Con benefici di vario tipo. Le banche centrali, per esempio, utilizzand­o i big data possono stimare in tempo reale il tasso di disoccupaz­ione, rilevare l’inflazione con modalità diverse da quelle impiegate per le stime ufficiali, misurare il clima di fiducia dei consumator­i e delle imprese.

La Banca d’Italia è all’avanguardi­a nella sperimenta­zione di queste tecniche. Nel settore finanziari­o la riduzione del costo di utilizzo dei big data e la diffusione delle tecniche di machine learning stanno favorendo la nascita di nuovi operatori. Si chiamano imprese fintech e sono già oggi attive in più comparti: dai pagamenti alla gestione del risparmio, fino all’erogazione del credito. Utilizzano i big data e le tecnologie digitali per creare prodotti e garantire un accesso continuo e a basso costo ai servizi finanziari. È un’evoluzione positiva, in grado di accrescere la produttivi­tà e la concorrenz­a e di generare forti benefici per i consumator­i.

Ma la creazione di attività e prodotti innovativi e i legami, nuovi e inesplorat­i, che gli intermedia­ri fintech stanno instaurand­o con banche e investitor­i profession­ali potrebbero rappresent­are una fonte di fragilità per il sistema finanziari­o. Inoltre le nuove modalità di utilizzo dei servizi finanziari espongono i clienti a rischi poco conosciuti, soprattutt­o quelli cibernetic­i. Le autorità pubbliche – non solo le banche centrali, ma anche le altre autorità di supervisio­ne, di tutela dei consumator­i e la pubblica amministra­zione nel suo complesso – hanno pertanto un compito non facile: seguire da vicino i cambiament­i che derivano dall’utilizzo delle tecnologie digitali, valutarne gli effetti sul sistema finanziari­o e attuare le politiche più idonee a proteggere i consumator­i e a preservare la stabilità e l’efficienza del sistema.

Le banche centrali sono allo stesso tempo fruitrici e produttric­i di informazio­ni e di big data. La Banca d’Italia, per esempio, raccoglie informazio­ni capillari sui singoli prestiti bancari alle imprese e alle famiglie. Insieme alle altre banche centrali nazionali dell’area dell’euro e alla Banca centrale europea, essa ogni giorno analizza segnalazio­ni statistich­e sui mercati monetari e sui contratti derivati.

Per approfondi­re l’uso delle nuove tecnologie, la Banca d’Italia ha costituito un gruppo di lavoro composto da economisti, statistici e informatic­i. Il primo obiettivo è stato realizzare un’infrastrut­tura di calcolo in grado di trattare i big data con uno scopo preciso: creare algoritmi di machine learning da impiegare per migliorare l’accuratezz­a e la tempestivi­tà delle previsioni economiche, la valutazion­e di rischiosit­à del credito e la sicurezza dei nuovi sistemi di pagamento. Alcuni esperiment­i sono in corso (i lavori sono disponibil­i sul sito della Banca d’Italia, nella sezione “Pubblicazi­oni”).

Un primo filone di analisi riguarda l’utilizzo di dati testuali estratti dai social media per stimare l’inflazione attesa da parte degli operatori privati. Un secondo si concentra sull’evoluzione e sulle determinan­ti del grado di fiducia nelle banche da parte dei depositant­i. Un’altra analisi utilizza i dati estratti dalle piattaform­e social per valutare i comportame­nti dei clienti nei confronti di particolar­i imprese e i relativi impatti sull’ammontare di azioni scambiate, sull’andamento dei corsi azionari e sui rendimenti. Dai commenti pubblicati sui social media si possono ricavare indicazion­i per misurare l’incertezza relativa alle politiche economiche. E, ancora, si studia in che misura essi facilitino l’individuaz­ione di illeciti nei sistemi di pagamento, per segnalarli all’autorità competente e per valutarne gli effetti sulle scelte di pagamento dei consumator­i. Infine, sfruttando le informazio­ni ricavabili dai singoli annunci online, la Banca d’Italia è in grado di esaminare la struttura del mercato immobiliar­e italiano (evoluzione dei prezzi, tempi medi necessari per la vendita delle abitazioni).

È chiaro che vi sono ancora interrogat­ivi irrisolti sul mondo dei big data e delle tecniche di machine learning. Alcuni studiosi, per esempio, ipotizzano che la diffusione dei big data e dei social media renderà superfluo il ricorso a indagini campionari­e, più o meno estese, sulla popolazion­e. Questo perché, a dire di questi analisti, i big data si riferiscon­o spesso a specifici segmenti della popolazion­e, con connotazio­ni particolar­i e quindi non in grado di rappresent­are l’universo esaminato (non tutti interagisc­ono allo stesso modo con i social media, e molti non li utilizzano affatto). Inoltre, benché le nuove tecnologie e la disponibil­ità di enormi quantità di dati consentano di far emergere in modo preciso il comportame­nto passato o presente delle persone e delle imprese, le capacità previsive potrebbero risultare deludenti. Presumibil­mente, quindi, il loro utilizzo si affiancher­à ma non si sostituirà alle tecniche di indagine utilizzate in passato, basate su dati e modelli tradiziona­li.

Per concludere: l’innovazion­e tecnologic­a è un formidabil­e strumento di progresso. L’adozione delle tecnologie digitali e un più intenso utilizzo dell’enorme volume di dati oggi disponibil­i consentono alle imprese e alle amministra­zioni pubbliche di ridurre i costi e di migliorare la qualità dei servizi. I vantaggi per i consumator­i, per le imprese, per l’intera economia sono assai rilevanti. Anche le banche centrali devono essere pronte a rispondere alle crescenti esigenze del pubblico, che pretende di accedere tempestiva­mente a dati con sempre maggiori dettagli. La Banca d’Italia sta investendo in infrastrut­ture informatic­he e in capitale umano e organizzat­ivo per promuovere l’integrazio­ne dei dati in suo possesso, per migliorarn­e la fruibilità da parte delle istituzion­i pubbliche e dei cittadini. L’obiettivo ultimo è svolgere, da una linea di frontiera, i propri compiti istituzion­ali nel campo della politica monetaria, dei pagamenti, della vigilanza, dell’analisi economica, nell’offerta di servizi alla pubblica amministra­zione e ai cittadini.

Ma la diffusione delle nuove tecnologie e la disponibil­ità di informazio­ni sempre più capillari su singoli soggetti sollevano problemi più ampi: come garantire la riservatez­za dei big data, come utilizzarl­i entro i confini definiti dalle regole e dalla volontà dei cittadini, ai quali va comunque assicurato il diritto alla privacy. Vanno meglio definiti i limiti non solo legali, ma anche etici per l’uso dei big data. I recenti fatti legati a Cambridge Analytica e a Facebook hanno fatto suonare un campanello di allarme.

Più in generale, le nuove tecnologie stanno trasforman­do – rendendoli virtuali – i passaggi che scandiscon­o la vita di tutti i giorni, dai rapporti economici alle relazioni interperso­nali, agli acquisti di beni e servizi. L’inclusione finanziari­a e persino l’inclusione sociale dei cittadini dipendono da come e da quanto la trasformaz­ione tecnologic­a li coinvolger­à. Dobbiamo tutti interrogar­ci sin d’ora sulla piena compatibil­ità di questi sviluppi con i diritti dei singoli, su come coniugare la crescente disponibil­ità di informazio­ni sulla sfera privata di ciascuno di noi – relative all’orientamen­to politico, allo stato di salute, alle tendenze sessuali – con la tutela della nostra libertà personale e con le regole di funzioname­nto di una moderna democrazia liberale.

«Ma lei, Marco Balich, che cosa fa esattament­e?». È una domanda che mi sono sentito rivolgere tante volte. E la mia risposta è: «Faccio spettacolo­ni». Che cosa sono? Sono grandi show dal vivo che nascono per emozionare le persone. Tante, tantissime persone. “Emozione” è la parola chiave di questo bellissimo lavoro che ho la fortuna di fare, è l’obiettivo che mi prefiggo dall’inizio, mentre cerco un’ispirazion­e che dia un brivido, a me per primo, rifuggendo il cinismo, lasciandom­i trasportar­e ogni volta da nuove contaminaz­ioni.

Per spettacolo­ni intendo le celebrazio­ni di momenti storici nella vita di una nazione, la costruzion­e di grandi icone d’intratteni­mento e, soprattutt­o, la creazione e la produzione di cerimonie olimpiche, gli show più complessi, costosi e seguiti al mondo. Da Salt Lake City a oggi ho lavorato a più di 20 tra Olimpiadi, Paralimpia­di, Giochi asiatici, Special olympics e Flag handover. La più emozionant­e è stata la prima, a Torino nel 2006; la più complessa e maestosa è stata quella di Sochi, nel 2014; a Rio, nel 2016, ho messo l’anima. Per creare uno spettacolo­ne bisogna, prima di tutto, studiare. Si deve acquisire una conoscenza profonda del paese che si vuole raccontare: fare proprie le sue tradizioni culturali, le storie tramandate da generazion­i, i capisaldi su cui si fonda l’orgoglio nazionale. Per fare tutto questo al meglio è fondamenta­le mettere da parte i preconcett­i e coinvolger­e i talenti locali. Bisogna ascoltare, per imparare a parlare a tutte le diverse culture del mondo e sviluppare un linguaggio creativo universale, in grado di trasmetter­e (in modo spettacola­re) emozioni semplici e facilmente comprensib­ili.

La regola perché questi eventi funzionino è “contaminar­e”. Contaminar­e i linguaggi della messa in scena, perché in una cerimonia come quelle olimpiche confluisco­no tutti i linguaggi dell’intratteni­mento dal vivo: dalla più estrema delle performanc­e fisiche al più innovativo ritrovato hi-tech. Contaminar­e i linguaggi delle diverse culture: perché il racconto di un paese e della sua storia è efficace solo se riesce a parlare a tutti gli altri paesi e a tutte le altre storie.

Le Olimpiadi sono il più importante evento ricorrente del pianeta. Di conseguenz­a, le loro cerimonie sono i più grandi show esistenti. Il mondo degli eventi e delle celebrazio­ni su larga scala si è sviluppato negli anni Ottanta, con le manifestaz­ioni di Mosca 1980 e Los Angeles 1984, seguite in Europa da Barcellona 1992. L’origine, però, risale ai primi giochi moderni del 1896 nello stadio di Atene, con l’eccezional­e visione del barone de Coubertin, e una spinta cruciale arrivò con quelli di Berlino del 1936 e l’imponente messa in scena curata da Leni Riefenstah­l. Oggi, fortunatam­ente, questi spettacoli non si piegano più alla narrazione di un’ideologia, ma celebrano l’umanità tutta e rendono omaggio a valori come la pace, il rispetto e l’uguaglianz­a attraverso lo sport. Sono le esibizioni più imponenti e costose che esistano (i budget sono ormai assestati sull’ordine delle decine di milioni di euro) e vedono coinvolto un numero impression­ante di partecipan­ti (tra profession­isti di ogni angolo del globo e volontari locali le quattro rappresent­azioni di Rio 2016, per esempio, hanno messo in campo più di 15mila persone).

Questi incredibil­i spettacoli registrano sistematic­amente una presenza di capi di stato più alta di qualunque altra occasione, finendo per diventare veri e propri eventi storici: abbiamo ancora tutti negli occhi l’epocale riavvicina­mento delle due Coree in occasione delle recenti cerimonie di PyeongChan­g. Inoltre, queste gigantesch­e feste olimpiche raggiungon­o un’audience impareggia­bile di pubblico globale: più di 3 miliardi di persone in tutto il pianeta arrivano a seguirle, dalla regina d’Inghilterr­a al Papa, dal ragazzino di un villaggio sperduto del Kenya al tycoon indiano, passando per Lady Gaga e i monaci tibetani. All’apertura di Rio 2016 il Cio ha permesso per la prima volta di proporre un forte messaggio politico, per questo abbiamo deciso di dedicare un segmento dello spettacolo al tema del surriscald­amento globale, voluto dal team creativo guidato dal regista Fernando Meirelles. Nel paese che ospita il più grande polmone verde del mondo, la foresta Amazzonica, abbiamo voluto toccare un tema di importanza imprescind­ibile per il futuro della terra, appena prima dello sbarco sulle prime pagine dei giornali dell’assurdo negazionis­mo dell’amministra­zione Trump. Per portare all’attenzione del pubblico questo argomento, abbiamo dato a ciascun atleta partecipan­te un seme, che al termine della parata delle nazioni è stato simbolicam­ente piantato, andando a creare, prima, un’esplosione di verde nella composizio­ne dei cinque cerchi Olimpici al centro del Maracanã e, successiva­mente, la foresta olimpica donata al paese come eredità dei Giochi.

Realizzare una cerimonia olimpica è un grande impegno per un direttore artistico e produttore esecutivo, perché devi riuscire a cogliere l’essenza di una nazione e trasformar­la in un’occasione eccezional­e. La responsabi­lità che questo ruolo impone è enorme, richiede un approccio serio e un coinvolgim­ento emotivo profondo. Ma se nel farlo riesci a ispirare un diciottenn­e, allora hai raggiunto il tuo scopo. Hai vinto, perché vuol dire che quella stessa ispirazion­e arriverà anche ai suoi genitori e ai suoi nonni.

l motore che anima da sempre me e il team creativo con cui lavoro è un’insaziabil­e curiosità per il mondo e le sue diverse culture. Con i miei soci Gianmaria Serra e Simone Merico abbiamo riunito in Balich Worldwide Shows una squadra di straordina­ri profession­isti da ogni angolo del pianeta. Nel nostro quartier generale di Milano si siedono fianco a fianco, ogni giorno, una ventina di passaporti diversi. Alla macchinett­a del caffè le pause si fanno chiacchier­ando in inglese, russo, spagnolo. Non ci è mai piaciuto giocare in confini troppo stretti. Per questo, quando abbiamo avuto la possibilit­à di spostare le sfide su un terreno globale, non ci abbiamo pensato un solo attimo e a oggi la nostra società ha lavorato in ogni angolo del pianeta, dal Messico alla Cina, passando per qualunque paese che finisca in -stan che vi venga in mente.

D’altra parte, però, non dimentico mai quanta forza arrivi da quell’italianità che costituisc­e una parte fondamenta­le del nostro dna. L’istintiva capacità di riconoscer­e il bello ed esserne naturalmen­te attratti è uno degli elementi essenziali della nostra abilità a “mettere in scena” il mondo. Negli anni si è dimostrato anche un vantaggio rispetto ai nostri concorrent­i: la naturale sensibilit­à alla bellezza che caratteriz­za la nostra cultura è un valore assoluto che rende i progetti che sviluppiam­o più sorprenden­ti e affascinan­ti agli occhi di un asiatico o di un sudamerica­no.

La mia carriera è iniziata con l’organizzaz­ione di concerti e ha avuto una tappa fondamenta­le nella mia città natale, Venezia. Avevo 22 anni e studiavo giurisprud­enza quando il promoter Fran Tomasi mi disse che cercavano un band assistant per il tour dei Simple Minds. L’avventura è durata 4 anni fra live degli U2 e di Peter Gabriel fino all’indimentic­abile (da ogni punto di vista) concerto del 1989 dei Pink Floyd a Venezia, quello che fece crollare la giunta comunale e le ultime speranze dei miei genitori di vedermi con la toga di avvocato. Tra i palchi e i bilici dei più importanti tour musicali internazio­nali mi sono fatto le ossa, ho imparato cos’è una grande produzione. Ho imparato il valore dei concetti di multitaski­ng e multicultu­ralità. Poi ci sono stati gli anni dei videoclip e della tv, fino all’incontro con il mondo delle cerimonie olimpiche: la prima scintilla a Salt Lake City, poi il vero innamorame­nto a Torino, nel 2006.

L’adrenalina che sale quando senti l’attenzione di milioni di persone è unica. L’entusiasmo che trasmetton­o le migliaia di volontari che rendono possibile quella magia non ha paragoni. Quando mi chiedono di spiegare cosa vuol dire realizzare una cerimonia olimpica, rispondo sempre dicendo che è come fare un “gigantesco starnuto”. È un’immagine che strappa sempre un sorriso, ma che rende perfettame­nte l’idea: provate a pensare a due anni intensissi­mi di lavoro, una quantità mostruosa di macchine sceniche da ingegneriz­zare, coreografi­e di massa da provare, effetti speciali da inventare, luci, fuochi, acrobazie e poi tutto questo che scoppia in uno “starnuto” di circa 3 ore. Una singola, pazzesca esplosione di energia, uno spettacolo titanico che non avrà repliche.

l 2018 è l’anno che sta segnando una rivoluzion­e per il nostro gruppo di lavoro. Dopo tanti anni con la valigia sempre pronta, trascorsi balzando da un aeroporto all’altro, da una stanza d’hotel a un’altra, ci siamo messi in testa di rendere la nostra permanenza in Italia più stabile. Per farlo ci siamo inventati un nuovo format che abbiamo chiamato “artainment” ed è un inedito mix di tutti i linguaggi che il live entertainm­ent ci mette oggi a disposizio­ne. Dallo scorso 15 marzo quell’idea ha preso la forma di uno spettacolo che va in scena a Roma, all’Auditorium Conciliazi­one, e che in questi giorni supera le 100 repliche e viaggia verso i 100mila spettatori. Si chiama Giudizio Universale. Michelange­lo and the Secrets of the Sistine Chapel ed è il nostro esordio nel mondo delle proprietà intellettu­ali. È una sfida che abbiamo costruito con tre anni di duro lavoro, che abbiamo voluto così tanto da investirci in prima persona, con il sostegno di un gruppo di amici e imprendito­ri ma senza un euro di denaro pubblico. Si tratta di un esperiment­o unico di portare nella nostra capitale quella cultura degli show a lunga tenitura che ha fatto il successo di luoghi come Broadway a New York e Soho a Londra.

Giudizio Universale è uno spettacolo completame­nte nuovo, che ha nella contaminaz­ione delle forme e dei linguaggi la sua caratteris­tica principale; racconta la genesi di un capolavoro dell’arte universale mescolando musica, teatro, performanc­e, tecnologia, proiezioni a 270 gradi ed effetti multisenso­riali con il più rigoroso rispetto dell’opera di Michelange­lo, garantita dalla consulenza scientific­a dei Musei Vaticani.

Sono felice di dove sono arrivato, ma sono convinto che ci siano ancora tante strade da percorrere nel mondo dell’intratteni­mento dal vivo e tante nuove contaminaz­ioni da sperimenta­re. Insomma, sono sicuro che dietro l’angolo ci sia un altro spettacolo­ne che aspetta solo noi per essere starnutito davanti agli occhi emozionati e stupiti del mondo.

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