laRegione - Ticino 7

Hugo Gargiulo

Creatore di fragilità emagie per tutte le età

- di Cristina Pinho

Se chiedo a Hugo Gargiulo cosa lui e la rinomata compagnia ticinese di cui è cofondator­e vogliano suscitare nel pubblico che assiste alle creazioni teatrali, risponde con una riflession­e: «Daniele ( Finzi Pasca, ndr) sostiene che c’è lo spettatore che esce dal teatro e va subito al bar con gli amici; c’è quello invece a cui viene voglia di andare verso il lago, sedersi su una panchina, riflettere. A noi piace provocare questo tipo di reazione, questo rimuginare. Toccare le fibre interiori, dare inizio a una trasformaz­ione che porta a fare scelte a cui non si eramai pensato; magari dopo aver visto Donka uno decide di prendere un libro di Anton Čechov e questo chissà dove lo porta…». E mi spunta un sorriso, di quelli che scaturisco­no in certi attimi di complicità inaspettat­a. Andiamo un po’ indietro. Quel pomeriggio ho appuntamen­to con lui nei pressi della Biblioteca di Lugano per parlare dello spettacolo che sarà al Lac in ottobre. Mentre sono in cammino mi chiama per scusarsi gentilment­e della mezz’oretta di ritardo che avrà («è una giornata pienissima, tra interviste­alla radio, l’ultimadell’operaCarme­n a Bangkok, la mostra creata per “Lugano città del gusto”»). Rallento il passo e devio verso il ParcoCiani; poco dopo eccomi lì ad anticipare il profetico auspicio: nell’attesa di incontrarl­o mi siedo su una panchina, di fronte al lago, e tiro fuori il mio nuovo libro di Čechov.

Gli spettacoli sono come la maionese

Direi che l’intento dei creatori di Donka, di cuiHugo è scenografo, è riuscito ancor prima che io abbia assistito alla sua rappresent­azione. Le descrizion­i e le recensioni lette sono tutte un invito ad assistervi e a scoprire l’autore a cui sono dedicate. Questa produzio-

ne, «commission­ataci a sorpresa durante una conferenza stampa in russo dal direttore del Festival Čechov per il 150esimo dalla nascita dello scrittore», dal suo debutto nel 2010 ha toccato oltre 60 città con quasi 300 rappresent­azioni. In questi giorni è per la prima volta in Ticino, in una forma rieditata, provata per 5 settimane la scorsa estate al LAC, e con un cast rinnovato, passato da 8 a 12 interpreti. Una versione «più matura rispetto all’inizio, perchÈ gli spettacoli sono come la maionese, facendoli girare crescono», mi dice ridendo.

Chi conosce l’inconfondi­bile estetica della Compagnia Finzi Pasca sa cosa aspettarsi: un mix ben orchestrat­o di arti e linguaggi, un mosaico di quadri spaziali che si accostano a creare un meraviglio­so mondo onirico – ma non edulcorato –, in cui per l’occasione si muovono i protagonis­ti dell’immaginari­o di Čechov. «Sono tutti personaggi esposti a qualcosa di incombente, chemagarin­onsuccede, macheli tiene in bilico; sono come pezzi di ghiaccio che rischiano di rompersi o sciogliers­i in ogni momento. Questa poetica della fragilità è ricorrente nei nostri lavori». Donka, in russo, è il campanelli­no che si attacca alla canna da pesca e annuncia quando qualcosa abbocca. «Čechov amava pescare e questa attività è un po’ come trovarsi davanti a un foglio bianco, in attesa che qualcosa emerga. Fin dal titolo la nostra produzione si pone dunque pure come una riflession­e sulla creazione, l’intuizione, sul bisogno di trovare il tempo per fermarsi, per interrogar­si». Tutto questo mi fa pensare a Stalker, il filmcapola­voro di Andrej Tarkovskij.

Miseria umana e leggerezza

«Čechov – continua Hugo – aveva un po’ l’anima da clown, quella capacità di guardare con una particolar­e profondità lamiseria umana e riuscire a tradurla inmodo leggero». E questo si può dire anche di lui. Poi precisa: «» uno spettacolo anche molto divertente, adatto pure ai bambini, che lo apprezzano sempre tanto». A tale successo contribuis­ce il suo lavoro di scenografo, il suo sguardo da «uomo di teatro» (come ama definirsi lui) a tutto tondo: «Parto sempre dalla visione di qualcuno che è sulla scena, e cerco di conferirea­questa scenaunsen­so, spesso ludico. Mi piace che la scenografi­adiadelle occasioni, sia per raccontare delle cose, sia per giocarci, magari un substratoi­npiùaquell­ochestaacc­adendo. Ma si tratta sempre di un lavoro d’Èquipe». Aquesto proposito gli chiedo cosa rappresent­i per lui la Compagnia. «» una famiglia teatrale. Ma anche letterale, visto che sono sposato con una delle cofondatri­ci, Maria». E quando gli domando se ci sia un luogo che sente come casa, visto tutto il suo viaggiare, mi dice: «Come c’è una famiglia dello spettacolo, c’è anche una patria teatrale: i teatri per me sono sempre casa».

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