laRegione

Viento del Sur

Ritratti 19 / Storie di uomini e donne nel tempo che viviamo

- di Massimo Daviddi

In Malcantone incontriam­o Carolina Maria Nazar e la sua storia di pittrice tra l’Argentina, dove è nata, e il Ticino Poco distante dai boschi che circondano Novaggio e che attraversa­no il Malcantone con la loro intensa e segreta bellezza, incontro Carolina Maria Nazar, pittrice: della sua storia, del presente di artista e di donna. Presto, dal racconto emergono nomi a lei cari. Astor Piazzolla con il suo bandoneon e la voce di Roberto Goyeneche. E, di seguito, Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, Silvio Rodriguez. Siamo al Ristorante della Posta davanti a un buon caffè e per alcuni minuti un po’ di Argentina sembra arrivare portata da un vento lontano. Quello del sud. Quando ci siamo conosciuti alla Galleria Job di Giubiasco, presentava l’amico e collega Andy Wildi e là, nella strada principale del nucleo, ecco il suo sguardo; l’attenzione per i volti e per chi, come me, chiedeva una copia della sua introduzio­ne. Sentendomi poi, dire: “vieni a trovarmi a Novaggio, mangeremo qualcosa insieme ma io non cucino più, cucina mio marito e bene!”. Carolina Nazar, nata ad Alta Gracia, ha studiato Lingue Moderne, Belle Arti, Incisione e Pittura, laureandos­i all’Università Nazionale di Cordoba. Suona musica antica, pratica lo yoga e insegna allo Csia disegno d’osservazio­ne e di figura e tecniche pittoriche al Liceo artistico. Nell’atelier di Curio tiene corsi per bambini e adulti, preceduti da una meditazion­e o dal suono del flauto traverso. Ha esposto in personali e collettive in Europa e America. Sempre alla Galleria Job, ricordiamo ‘Viento del Sur’, mostra ispirata ai versi di Silvio Rodriguez. Vorresti parlare dei luoghi? Pensavo di iniziare così, se ti va. “La prima cosa che mi chiedo quando arrivo in un posto che non conosco è come sarà la mia vita, quali amicizie e quale lavoro. Resto, vado? Riuscirò a sviluppare quello che so fare? Domande che sento, anche se mi adatto bene alle nuove realtà. Il problema è quando devi sradicarti ancora una volta perché non sei stata capace di trovare le risorse per la vita. È un rapporto tra codici: lingua, cultura”. E a Novaggio? “Sono stata fortunata perché attraverso i miei figli che frequentav­ano le elementari, ho conosciuto molte perso- ne; mamme, il gruppo genitori che mi dava l’opportunit­à di fare doposcuola di pittura e yoga. Di aprire un discorso. Persone che sono fari, perché quando ti sradichi sei come cieco”. Alta Gracia, Cordoba; le radici. Come ti vedi, se fossi ancora là? “Avrei sempre un atelier, come quello che mi rappresent­a qui, ora. Da giovane è nata la passione per la pittura e la musica e tu sei quello che sei fino a che muori. Il paesaggio dentro, quello che in spagnolo si dice, ‘hogar’, abitare la casa in un senso intimo. L’atelier, fatto di poche e tante cose e il mio mondo sono i dipinti. La natura del Malcantone è un po’ simile a quella di Cordoba, colline dolci, montuosità grandi e piccole, anche se da noi le vallate sono molto ampie, come gli orizzonti”. Come se non ci fossero limiti? “Sì. Vivi un senso di libertà pieno, totale, puoi fermarti ovunque. Quando sono venuta qui, pensavo di essere un elefante che camminando poteva rompere le cose intorno: è una questione di codici, come dicevo prima”. Le appartenen­ze? “Ti dico subito. Il tango, che non è solo una musica e che non viene da Cordoba, dove abbiamo una samba diversa da quella brasiliana. Il tango è di Buenos Aires, un sentimento a cui mi sono legata fortemente e che ho scoperto ancora di più quando sono andata a Barcellona”. Perché? “Il tango rappresent­a l’Argentina, è in qualche modo l’Argentina stessa, te ne accorgi all’estero”. A Barcellona, ti ha favorito la lingua? “Naturalmen­te. Potevo fare le mie lezioni subito, lavorare con gli allievi. Nel rapporto con gli altri identifica­rsi nel linguaggio, nelle parole, è importante”. Questo ‘nomadismo’, ha cambiato il tuo lavoro? “Molto. Conta lo stimolo esterno: a Barcellona, il mare. Toccare l’acqua sapendola lì, anche quando dormi, una presenza che sostituisc­e nella mia vita tutto quello che posso non avere. Tuffarsi in mare senza chiederti se l’acqua è calda o fredda. È l’infinito”. L’atelier che hai lasciato a Cordoba? “Un luogo aperto, un punto d’incontro per artisti, poeti, musicisti, dove lavoravo senza luce naturale. Era il dolore per quanto avveniva in Argentina: le ferite, la repression­e”.

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‘Quando ti sradichi sei come cieco’

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