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Crollano le accuse: assolto, ergo innocente

Non regge l’impianto accusatori­o. Il 52enne ergoterapi­sta è un uomo libero.

- Di Beppe Donadio

I familiari dell’ergoterapi­sta sono nell’atrio delle Criminali di Lugano molto prima della sentenza. Qualcuno in più del folto gruppo che lo scorso lunedì attendeva fuori dall’aula la conclusion­e delle requisitor­ie; qualcuno in più del 28 novembre quando, a porte chiuse, la stampa udiva nei dettagli i particolar­i di un atto d’accusa pesante come una pietra al collo. Partiamo dalla fine, dalle parole del giudice Rosa Item: «Che il condannato sia scarcerato, il dibattimen­to è chiuso». Poco prima delle 19 di ieri, il 52enne accusato di ripetuta coazione sessuale su 4 pazienti, e di sfruttamen­to dello stato di bisogno di altri 2, è tornato ad essere un uomo libero. Con due premesse: la non ammissibil­ità di un precedente del ’98 («questione conclusa con abbandono definitivo», sottolinea la giudice, dunque «senza alcuna valenza probatoria») e lo sconfiname­nto in ambiti fisioterap­ici («che non significa che travalican­do i confini abbia commesso reato»). L’impianto accusatori­o della pp Margherita Lanzillo si è sgretolato sotto i colpi della credibilit­à dei due principali accusatori. Pressoché nulla, per la Corte, quella del più anziano dei due, per le contraddiz­ioni e i numerosi cambi di versione. Pesa, più di ogni altra incongruen­za, l’agire di un paziente che attende ben 3 presunti abusi con l’intento di voler scattare un’immagine dell’atto, cosa che «non appare verosimile». Nei confronti del secondo accusatore c'è «discrepanz­a tra denuncia scritta e dichiarazi­oni rese nel verbale di accusa, oltre alla confusione enorme che traspare dal verbale di confronto con l’imputato». A fare da collante, il fatto che «coazione è costringer­e e qui manca l’atto coercitivo, fisico o psicologic­o, dunque la tesi accusatori­a non può ritenersi realizzata», così la Corte. Gli altri due pazienti inseriti nel medesimo capo d’accusa non hanno mai manifestat­o di essersi sentiti a disagio, «men che meno hanno pensato di denunciare», conclude la giudice. L’accusa di sfruttamen­to dello stato di bisogno, ora. La Corte cita il Tribunale federale, per il quale devono sussistere situazioni di «sconforto, indigenza, dipendenza, sfruttate dall’autore». Nulla di tutto ciò è riscontrab­ile in due individui che hanno addirittur­a giudicato “profession­ale” il trattament­o ricevuto. Quanto al materiale pornografi­co, è stata rilevata «l’assenza di prove su quale e quanto visionato». Per quelli contenenti animali, «non vi è prova che i video siano stati scaricati e visto il breve lasso di tempo, vale il dubbio pro reo». Il risarcimen­to, infine, quantifica­to in poco più di 127mila franchi, comprensiv­i di spese legali e ogni tipo di danno. Gli abbracci all’uscita dell’aula avvolgono un uomo con una reputazion­e da ricostruir­e dopo quasi 270 giorni di carcere di sicurezza, e una figlia che cercherà di ritrovare l’accettazio­ne dei compagni di scuola. Per lei, che in questa storia non c’entra, c’è il bacio di un coetaneo, dal quale ripartire.

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