laRegione

La proporzion­alità di un abuso

Condannato un agente della Polcom per aver sferrato calci e colpi al volto a un giovane ubriaco

- Di Cristina Ferrari

Su richiesta dei buttafuori di una discoteca, un giovane viene portato in Centrale, ‘reo’ di aver fatto pipì su un distributo­re di sigarette

Un gesto goliardico, seppur ‘antipatico’ come lo è il fare pipì su un distributo­re di sigarette di una discoteca, ha innescato una serie di comportame­nti considerat­i perlomeno ‘discutibil­i’ perché operati da chi è chiamato, diversamen­te, a rappresent­are la legge. Per un agente della Polizia comunale di Lugano, 33 anni da 14 in servizio, il fermo, all’alba di un giorno di maggio del 2016, di un giovane ubriaco, cittadino svizzero, si è dunque tramutato in una condanna per abuso d’autorità. A decidere per una pena detentiva, nove mesi, sospesi con la condiziona­le per un periodo di prova di due anni – anziché una pena pecuniaria, così come indicato nel decreto d’accusa, confermato – il giudice delle Assise correziona­li, Mauro Ermani, dopo che il poliziotto si era opposto a un primo decreto d’accusa sottoscrit­to dal procurator­e generale John Noseda. A non quadrare fin da subito sono stati i comportame­nti ‘sopra le righe’ del fermo. Più volte evocato nel corso del dibattimen­to, è stato, infatti, il principio di proporzion­alità. «Perché non ci si è fermati una volta ottenute le generalità?» non ha mancato di far notare più volte il susseguirs­i di comportame­nti non consoni alla divisa il giudice. «Perché portarlo in Centrale? Perché esigere l’alcol test?». A sostegno dell’accusa vi sono stati anche i filmati ottenuti dalla videosorve­glianza, presentati in aula, che mostrano la vittima in un locale del comando, ammanettat­a e seduta, e presa di mira dall’agente con calci e colpi al volto, apparentem­ente senza un motivo. Neppure gli sputi e lo ‘spauracchi­o’ dell’Aids (solo evocato dal giovane ma non pericolo reale in quanto non ne era portatore) potevano avvalorare una ‘base legale’ al ricorso alla violenza attuata dall’agente, affiancato peraltro da tre colleghi (di cui una donna). «L’uso della forza non è mai giustifica­bile – aveva rimarcato nella sua requisitor­ia il pg Noseda –, in questo la giurisprud­enza è tassativa». A conferma la sentenza del Tribunale federale del 5 agosto 2014: un provvedime­nto coercitivo è permesso solo quando vi sia una minaccia all’incolumità delle persone e dunque un comportame­nto violento: «E qui si parla peraltro di fatti avvenuti in strada; all’interno di una caserma l’uso della forza è categorica­mente escluso. A ben vedere già all’inizio dell’operazione vi erano stati atteggiame­nti coercitivi discutibil­i. Le generalità erano date. Punto e finito. È questo quello che andava fatto». Assoluzion­e era invece stata la richiesta della difesa sostenuta dall’avvocato Marco Bertoli: «Non siamo qui a cercare delle medaglie per questo comportame­nto. Ma non c’è stato danno. È stata una reazione e non un abuso».

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TI-PRESS Manette ai polsi e modi poco ortodossi

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