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No alla balcanizza­zione di Internet

- Di Michael Spence e Fred Hu www.project-syndicate.org

Pechino – La recente rivelazion­e che un’applicazio­ne ha prelevato oltre 80 milioni di profili Facebook per consegnarl­i alla società di consulenza politica Cambridge Analytica ha prodotto reazioni negative contro la piattaform­a. Ma questo è solo l’ultimo esempio dei rischi associati a Internet, che costituisc­e il nucleo dell’odierna rivoluzion­e digitale.

La maggior parte delle innovazion­i digitali che hanno ridisegnat­o l’economia globale negli ultimi 25 anni si basa sulla connettivi­tà di rete, che ha trasformat­o commercio, comunicazi­one, istruzione e formazione, supply chain e molto altro. La connettivi­tà consente inoltre l’accesso a una vasta quantità di informazio­ni, incluse quelle alla base dell’apprendime­nto automatico, essenziale per l’attuale intelligen­za artificial­e. Negli ultimi 15 anni circa, Internet mobile ha rafforzato questa tendenza, favorendo non solo il rapido aumento del numero di persone ad esso connesse, e quindi in grado di partecipar­e all’economia digitale, ma anche la frequenza e la facilità con cui ci si può connettere. Dalla navigazion­e Gps alle piattaform­e di condivisio­ne dei viaggi ai sistemi di pagamento mobile, la connettivi­tà in movimento ha avuto un impatto di vasta portata sulla vita e la sussistenz­a delle persone.

Internet aperto? Attenzione al potere di monopolio!

Per anni, è stata opinione diffusa che un Internet aperto – con protocolli standardiz­zati ma pochi regolament­i – sarebbe stato naturalmen­te al servizio dei migliori interessi di utenti, comunità, paesi, economia globale. Ma sono emersi rischi importanti, tra cui il potere di monopolio per mega-piattaform­e quali Facebook e Google; la vulnerabil­ità agli attacchi nei confronti di infrastrut­ture critiche, compresi i sistemi del mercato finanziari­o ed i processi elettorali; e minacce alla privacy e alla sicurezza dei dati e della proprietà intellettu­ale. Rimangono aperte inoltre domande fondamenta­li riguardo all’impatto di Internet su appartenen­za politica, coesione sociale, consapevol­ezza e coinvolgim­ento dei cittadini, e sviluppo dell’infanzia.

L’autoregola­mentazione sembra non funzionare

Mentre Internet e le tecnologie digitali penetrano più profondame­nte all’interno di economie e società, tali rischi e vulnerabil­ità diventano sempre più acuti. E, finora, l’approccio predominan­te in Occidente per gestirli – l’autoregola­mentazione da parte delle aziende che forniscono i servizi e possiedono i dati – non sembra funzionare. Non ci si può aspettare che le piattaform­e principali rimuovano contenuti “discutibil­i”, ad esempio, senza linee guida da parte delle autorità di regolament­azione o dei tribunali.

Detto questo, sembra che ci troviamo di fronte a una nuova transizion­e, dall’Internet aperto del passato ad un soggetto a più ampio controllo. Ma questo processo comporta i suoi rischi.

I rischi del controllo

Sebbene vi siano ottime ragioni per una cooperazio­ne internazio­nale, un tale approccio sembra improbabil­e nell’attuale clima di protezioni­smo e unilateral­ismo. Non è nemmeno chiaro se i paesi riuscirann­o ad accordarsi su trattati per la messa al bando delle guerre cibernetic­he. Anche se si trovasse una parvenza di cooperazio­ne internazio­nale, gli attori non statali continuere­bbero a comportars­i da spoiler o peggio. In questo contesto, sembra probabile che in larga misura saranno i singoli Stati ad avviare nuovi regolament­i, i quali dovranno rispondere a domande difficili. Chi è responsabi­le – e tenuto a rispondere – della sicurezza dei dati? Lo stato dovrebbe avere accesso ai dati degli utenti e a quali scopi? Gli utenti potranno mantenere l’anonimato online?

Risposte diverse da stato a stato

Le risposte dei paesi a tali domande variano ampiamente, a causa delle differenze fondamenta­li riguardo a valori, principi e strutture di governance. Ad esempio in Cina le autorità filtrano i contenuti ritenuti incompatib­ili con gli interessi dello stato; in Occidente, al contrario, non esiste un’ente con un’autorità legittimat­a a filtrare i contenuti, tranne in casi estremi (ad esempio, incitament­o all’odio e pornografi­a infantile). Anche nelle aree in cui sembra esserci un certo consenso – come l’inaccettab­ilità della disinforma­zione o l’intromissi­one straniera nei processi elettorali – non vi è accordo sui rimedi appropriat­i.

Il nodo delle frontiere digitali nazionali

La mancanza di consenso o cooperazio­ne potrebbe portare all’emergere di frontiere digitali nazionali, che non solo inibirebbe­ro i flussi di dati e informazio­ni, ma ostacolere­bbero anche gli scambi, le catene di approvvigi­onamento e gli investimen­ti transfront­alieri. Già la maggior parte delle piattaform­e tecnologic­he statuniten­si non può operare in Cina, perché non possono o non vogliono accettare le regole delle autorità per quanto riguarda l’accesso dello stato ai dati e al controllo sui contenuti.

Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno impedito alla società cinese Huawei di investire in startup di software, per fornire apparecchi­ature di rete a operatori wireless, e (insieme a ZTE) vendere telefoni cellulari nel mercato statuniten­se, a causa dei presunti legami dell’azienda al governo cinese. Sia Huawei che ZTE sostengono che le loro attività sono puramente commercial­i e che rispettano le regole ovunque operino, ma i funzionari statuniten­si continuano a insistere sul fatto che le società rappresent­ano un rischio per la sicurezza.

Nuove regole europee sulla privacy

Al contrario, quasi tutti i paesi europei, incluso il Regno Unito, sono aperti nei confronti di Huawei e ZTE, entrambi principali attori in Europa. Tuttavia, l’Europa sta creando le proprie barriere, con nuove regole su protezione dei dati e privacy che potrebbero ostacolare l’applicazio­ne di apprendime­nto automatico. A differenza della Cina e degli Stati Uniti, l’Europa non è ancora sede di mega-piattaform­e tipo quelle che stanno aprendo la strada ad innovazion­i di apprendime­nto automatico.

Meglio puntare su principi condivisi

Con l’intera economia globale che diventa inestricab­ilmente legata a Internet e alle tecnologie digitali, regolament­azioni più forti divengono più importanti che mai. Ma se tali regolament­azioni risultano frammentat­e, goffe, pesanti, o incoerenti, le conseguenz­e per l’integrazio­ne economica – e, a sua volta, per la prosperità – potrebbero essere gravi.

Prima che il mondo adotti soluzioni inefficaci o controprod­ucenti, i responsabi­li delle politiche dovrebbero riflettere attentamen­te sul modo migliore per affrontare la regolament­azione. Se non è possibile accordarsi su ogni dettaglio, forse almeno lo è identifica­re una serie di principi condivisi che possono costituire la base di accordi multilater­ali che vietino attività distruttiv­e come l’abuso di dati, contribuen­do così a preservare un’economia globale aperta.

Michael Spence, premio Nobel per l’economia, è professore di economia presso la Stern School of Business della New York University e Senior Fellow presso l’Hoover Institutio­n.

Fred Hu è presidente e fondatore di Primavera Capital Group, una società di investimen­to globale con sede in Cina.

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KEYSTONE All’inizio sembrava innocuo
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Michael Spence, premio Nobel per l’economia, è professore di economia presso la Stern School of Business della New York University

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