Mercati: rapido mutamento d’umore!
Se può apparire isterico il quotidiano su e giù di Wall Street (e delle Borse europee, di conseguenza), come potremmo definire i balzi d’umore degli economisti e degli operatori al soldo delle grandi banche d’investimento?
A essere gentili, dovremmo giudicare quantomeno nevrotico il loro approccio all’economia e ai mercati. Se fino a due mesi fa, o poco più, ti sentivi dire che il ciclo economico era a metà corsa («È come se fossimo nelle condizioni del 2004-2005», ci ripetevano) e, dunque, le Borse avevano davanti a sé almeno 2-3 anni di sereni progressi, adesso i guru della finanza spiegano che il ciclo si sta esaurendo, che una nuova recessione è alle porte e che le Borse hanno già visto i massimi.
L’isteria quotidiana dei mercati? ‘Ha più senso!’
L’isteria quotidiana dei mercati ha più senso. Con il 60% delle contrattazioni dettate dagli algoritmi e con l’alea dei piccoli investitori che entrano ed escono dagli Etf (fondi automatici passivi), i quotidiani alti e bassi sono di volta in volta la diretta conseguenza del protezionismo di Donald Trump o, meglio,
dei toni minacciosi o più concilianti da lui usati in questa personalissima tattica negoziale. Più recentemente sono anche il risultato di un più aspro contrasto con la Russia e del rischio (ora concretizzatosi) di un intervento militare in Siria. Si può osservare che, mesi addietro, quando s’agitavano venti di guerra dalla Corea del Nord, Wall Street aveva mostrato una olimpica indifferenza alle questioni geopolitiche.
Ottimismo incrinato
Ma erano altri tempi: quelli della fiducia nell’avvenire dell’economia e dei mercati. A incrinare quell’ottimismo sarebbero occorsi due avvenimenti: il mini crack d’inizio febbraio e il rallentamento della crescita economica globale. Pur nella convinzione che nel primo accadimento stia il vero problema, è istruttivo soffermarsi sul secondo, perché è su questo che si fondano le presunte razionali analisi degli operatori. Con l’eccezione di Goldman Sachs e in parte di JP Morgan, la tesi di un sensibile rallentamento della crescita economica è sostenuta da Bank of America, Citi e Morgan Stanley. Per dimostrarla si ricorre agli indici che misurano le sorprese economiche (ossia quanto si discostano i dati reali dalle attese), tutti in deciso calo, agli indicatori creati sui sondaggi (indici Pmi come Ism, Markit, Ifo), quasi tutti in leggero peggioramento, ai dati reali che, per la verità, non sono affatto brutti. Se ne deduce che le aspettative sull’economia americana sarebbero tornate ai livelli del novembre 2016 e per l’Eurozona addirittura al 2012.
Il ciclo economico si sta esaurendo
La conclusione è che il ciclo economico si sta esaurendo, come sosterrebbe il 74% degli investitori sondati da BofA, la percentuale più alta degli ultimi 10 anni. A corollario della tesi, si racconta che l’inflazione non sarebbe un problema, perché non sale come si pensava e il rischio è semmai la stagflazione. Questo rapido mutamento d’umore pare dettato per lo più dal nervosismo dei mercati finanziari. Si può obiettare che se cala l’indice costruito sulle sorprese economiche è anche a causa di aspettative troppo ottimistiche; oppure che il lieve peggioramento degli indicatori costruiti sui sondaggi potrebbe essere ricondotto all’instabilità dei mercati finanziari negli ultimi mesi. Alcuni gestori di hedge fund, incontrati qualche giorno fa al convegno organizzato dalla Banca del Ceresio, hanno offerto un’interpretazione più maligna: le grandi banche d’affari hanno bisogno di creare sensazioni forti per muovere il mercato in qualsiasi direzione e incassare dunque più commissioni. Ma, c’è il sospetto che in queste analisi vi sia un’altra ragione strumentale nel tentativo di condizionare la Fed, rea secondo Citi d’aver condotto una politica monetaria «troppo restrittiva rispetto al tasso d’equilibrio»; o, per usare l’espressione d’un analista di JP Morgan, in procinto di commettere un grave «errore». Il messaggio è chiaro: ulteriori rialzi nei tassi Fed sarebbero ingiustificati e forieri di recessione. E dire che appena due mesi fa, quando le condizioni finanziarie erano considerate «eccessivamente espansive», si rimproverava alla banca centrale d’aver gettato i semi d’una bolla speculativa.