Fuoco sulla protesta a Managua
Managua – Almeno undici morti, decine di feriti e la fine del “dialogo nazionale”. Le premesse perché la giornata di protesta contro Daniel Ortega si trasformasse in un bagno di sangue c’erano tutte, e così è stato. Le forze dell’ordine e i gruppi armati sandinisti non si sono fatti scrupoli nel reprimere la marcia organizzata a Managua in omaggio alle madri delle vittime per le proteste anti-governative delle settimane scorse, già costate la vita a più di ottanta persone. La marcia aveva riunito centinaia di migliaia di persone nel centro della capitale nicaraguense, senza che vi fossero incidenti di sorta, fino a quando, attorno alle 17 locali, sono intervenute le unità antisommossa e i gruppi irregolari. La repressione, a sua volta, ha provocato nuove proteste estese al resto del Paese. La prima a prendere posizione è stata la Conferenza episcopale, che ha annunciato la sospensione del “dialogo nazionale” proposto dallo stesso Ortega, “fino a quando si continuerà a negare al popolo nicaraguense il diritto a manifestare pacificamente, e il popolo continuerà ad essere represso ed assassinato”. I media e le organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno pubblicato i loro primi bilanci di vittime: almeno undici morti e 76 feriti in tutto il Paese, secondo il Centro Nicaraguense per i Diritti Umani, ai quali il quotidiano La Prensa aggiunge altri quattro morti. Questi si sommano agli 82 registrati da Amnesty International dallo scorso 18 ottobre. Erika Guevara-Rosas, responsabile di Amnesty per l’America Latina, ha affermato che “la simulazione del governo Ortega ha raggiunto livelli incredibili di perversione”: solo poche ore prima della brutale repressione l’esecutivo aveva approvato l’insediamento di una commissione d’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani nel Paese.