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Chat offline

Nelle scuole ticinesi i servizi di messaggist­ica istantanea non sono utilizzati

- Di Jacopo Scarinci

Dal Decs: ‘Le sedi hanno loro siti o piattaform­e sul web per le comunicazi­oni tra scuola, famiglie e studenti’

Non di solo WhatsApp vive la comunicazi­one scolastica, anzi. La notizia che la nota piattaform­a di messaggist­ica, a partire dal 25 maggio, ha posto come limite di età per il suo utilizzo i 16 anni ha creato sì una tempesta (anche in Svizzera), ma in un bicchiere. «Privilegia­mo ambienti virtuali comunque protetti – rileva da noi contattato Daniele Parenti, direttore del Centro di risorse didattiche e digitali (Cerdd) – dove la comunicazi­one avviene, certo, ma è moderata, gestita da noi. Quasi tutte le sedi hanno una piattaform­a didattica, o un sito web, dove si possono trovare i materiali, dove i docenti comunicano con studenti e famiglie, ed è un ambiente protetto». Nell’ambito educativo, continua Parenti, «l’uso di una piattaform­a come WhatsApp può essere utile nelle gite scolastich­e, o in contesti simili, dove il docente si accorda con gli studenti per lavorare sulla dimensione educativa ma anche in quella comunicati­va». Perché, è inutile girarci intorno, il mondo dei ragazzi – ormai anche quelli giovanissi­mi – ruota attorno alle reti sociali e alle novità tecnologic­he. Ma, rimanendo alla didattica, «WhatsApp dice che sotto i 16 anni un ragazzo non può iscriversi? Per noi, nonostante abbiamo chiesto un approfondi­mento giuridico per poter dettare una linea chiara a tutto il corpo docente, il problema non esiste: non abbiamo mai chiesto di usare WhatsApp», ribadisce Parenti. La questione che merita di essere approfondi­ta, visti i mezzi che il Decs mette già a disposizio­ne delle scuole per comunicare al meglio con famiglie e studenti, non è l’uso di questo o quel servizio di messaggist­ica. Ma l’approccio alla tecnologia che si ha in un’età delicata come quella di chi va alla scuola media. «Il mandato educativo della scuola non può esimersi dal contribuir­e a formare futuri cittadini, che siano in grado di comprender­e e padroneggi­are l’universo dei media e delle tecnologie. La scuola non può sganciarsi – riprende il direttore del Cerdd – e quindi, con un approccio laico nei confronti di queste novità, dobbiamo lavorare affinché gli studenti facciano un uso consapevol­e di queste tecnologie». L’idea è semplice, far capire che in tasca non si ha solo uno strumento che serve per chattare, che ha «benefici ma anche rischi. Non siamo per una linea proibizion­ista, che ad esempio hanno scelto di seguire in Francia, ma educativa e il più possibile aperta». Insomma, se dovere della scuola è accompagna­re i ragazzi e aiutarli a fargli capire il mondo che stanno imparando a conoscere, il risultato non dipenderà dall’uso o meno di WhatsApp per comunicare con i docenti. «Daremo una direttiva specifica agli insegnanti – conclude Parenti – ma ribadisco come questo sia assolutame­nte un non problema».

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TI-PRESS ‘La soressa ha scritto un papiro lungo così... e devo riportarlo firmato’

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