Trump in stato di grazia
Washington – Donald Trump non vuole strafare, e non si concede la grazia come pure potrebbe. Il suo segretario di Stato Mike Pompeo invece sì (quanto allo strafare): ha “sollecitato” Pechino a rendere noto il numero reale delle vittime della repressione delle proteste in Piazza Tienanmen, nel 1989. Con una scontata irritazione cinese. L’ultima del presidente statunitense – che ha definito “totalmente incostituzionale” la nomina del procuratore speciale sul Russiagate Robert Mueller – è la rivendicazione di uno status di insindacabilità assoluta: “Come dichiarato da numerosi giuristi – ha twittato – ho l’assoluto diritto di graziarmi, ma perché dovrei farlo se non ho fatto nulla di male? Tesi che riecheggia le dichiarazioni del suo legale Rudy Giuliani, secondo cui Trump ha “probabilmente” il potere di graziarsi ma “non ha intenzione di usarlo”, anche perché rischierebbe di portarlo ad un impeachment. Secondo Giuliani, Trump è essenzialmente immune dalle inchieste finché è in carica e “potrebbe persino aver sparato all’ex direttore dell’Fbi James Comey senza rischiare di essere incriminato”. Il dibattito sui poteri costituzionali dell’inquilino della Casa Bianca si è acceso dopo che il ‘New York Times’ ha pubblicato un memo inviato a Mueller lo scorso 22 gennaio dall’allora avvocato di Trump John Dowd. Nella lettera si sostiene che il presidente, in quanto “chief legal officer”, non può essere convocato da un giudice o venir incriminato. Né può essere colpevole di ostruzione della giustizia perché “se vuole, potrebbe mettere fine all’inchiesta o persino esercitare il suo potere di grazia”. Un ballon d’essai, quello di Trump per testare la “tenuta” di Mueller. Forse anche quello di Pompeo con Pechino, che però potrebbe esplodergli in mano.