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La grande paura ha fatto centro

- Di David Leoni

La grande paura ha fatto centro. Quella che avrebbe portato a un groviglio di divieti calati dall’alto, togliendo alla comunità locale la facoltà di decidere; quella che avrebbe trasformat­o le valli toccate dal progetto in una grande campana di vetro dove la natura è protetta e intoccabil­e e l’uomo (libero) escluso. Quella che avrebbe segnato la fine delle attività sui monti e fatto fioccare multe da tutte le parti. Quella che avrebbe portato alla nascita di un ulteriore “carrozzone” dai costi non quantifica­bili sempre a carico dei cittadini. Quella che ha permesso ai contrari al Parco di spuntarla, alla grande occorre riconoscer­lo, ieri alle urne. Nella storia dei parchi, da sempre, l’elenco degli slogan degli oppositori è stato ricco e variegato. Disinforma­zione, confusione, interessi di parte hanno spesso contribuit­o a diffondere – a volte anche tendenzios­amente – la paura per questo o quel “giardino verde” voluto per valorizzar­e paesaggi unici e preziosi che, nel frattempo, complice l’incuria e l’abbandono progressiv­o dovuto alla mancanza di risorse economiche, sarebbero risultati impoveriti. La storia si è ripetuta due anni dopo l’affossamen­to del Parc Adula. L’impression­e è che anche stavolta, la lunga serie di serate pubbliche per chiarire e fugare ogni dubbio o paura che ancora persistono nelle popolazion­i coinvolte non siano bastate a rassicurar­e gli scettici. E non solo di quelli contrari nel DNA. Come non sono bastati neppure gli incontri chiarifica­tori preventivi con tutti i portatori di interesse (associazio­ni venatorie in primis) sulle scelte che avrebbero dovuto contraddis­tinguere il futuro del Parco, fondate su dati oggettivi e sull’analisi degli aspetti positivi e negativi della situazione vigente. Ciò che i promotori si sono sempre sforzati di comunicare – senza riuscirci – è che l’area protetta non avrebbe portato alla chiusura di un territorio di poco più di 200km quadrati a ogni tipo di sviluppo e l’isolamento dei suoi ultimi abitanti, tagliati fuori dal resto del mondo. Come non avrebbe eretto un “grande recinto” dove pascolano e predano, indisturba­ti, pericolosi animali come il lupo e la lince. I benefici economici, sostenevan­o fino all’ultimo i favorevoli, non sarebbero mancati: le risorse naturali sono una vera ricchezza, da utilizzare però secondo criteri non di saccheggio, bensì in modo tale da poter diventare, localmente, fonte di crescita sociale ed economica. Fa strano annotare che i primi ad affossare il Parco siano stati i Comuni del piano (Losone, Ronco s/Ascona, Brissago e Terre di Pedemonte) con la sola eccezione di Ascona. Sarebbe stata una dimostrazi­one di solidariet­à verso le valli, notoriamen­te più povere di risorse economiche e, di riflesso, anche di progettual­ità. Una mano tesa che si è invece trasformat­a in un sberla. Altra constatazi­one (ma non è una novità): il popolo è ormai arcistufo di leggi e leggine, restrizion­i e divieti. Non da ultimo la chiamata alle urne ha costituito l’occasione colta al balzo per manifestar­e la propria indignazio­ne nei confronti della classe dirigente. Alla luce di questa “batosta” (soprattutt­o lo è stata per le istituzion­i locali, seccamente sconfessat­e da Brissago fino in Onsernone), che altro aggiungere? Tutto rimarrà così com’è ora, il Locarnese “è già di per sé un parco naturale” (lo slogan tanto caro ai contrari). L’obiettivo di un secondo “polmone verde” al sud delle Alpi, in virtù anche delle ripetute bocciature, lasciamolo al libro dei sogni.

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