Nives Meroi La signora degli ottomila
In cordata sempre con il marito Romano Benet, senza ossigeno e senza sherpa, ha scalato tutti i 14 “giganti” della catena himalayana. Una certa idea dell'alpinismo, rispettoso della natura innanzi tutto, e i grandi valori che la montagna trasmette, dall'essenzialità alla bellezza.
Nives Meroi, classe 1961, fisico da liceale, è la prima donna al mondo ad arrivare con il marito, Romano Benet, classe 1952, sulle cime dei 14 giganti che svettano oltre gli ottomila metri, nella catena himalayana. Sono molti i sentimenti e le emozioni che colpiscono nel parlare con Nives, e tutto meriterebbe di essere raccontato perché fa bene alla mente e al cuore, soprattutto in tempi che riescono a minare anche la più resistente delle nostre alleate: la speranza. Stando nella scia di questa coppia di alpinisti, testimoni coerenti dell'importanza di puntare alle cose che contano, fermiamo l'obiettivo su due campi. Primo scatto: osservandoli in azione, mentre puntano in alto, Nives e Romano sono due puntini sperduti su gigantesche pareti di ghiaccio o in mezzo a sterminate distese di neve; ma sono la metafora della tenacia umana, della resistenza e dell'affermazione, quale che sia, anche del coraggio di mollare. Due puntini nell'infinito, che ce la fanno ad arrivare alla meta.
Secondo scatto: questi due scalatori, che hanno raggiunto le vette più alte del mondo, rifuggono dall'usare terminologie scomposte come l'iperbole della “conquista”. Loro frequentano la montagna da una vita non per vincerla o, peggio, per dominarla: ma per imparare. Ed è una cattedra dove non si finisce di apprendere, per poi comunicare l'esperienza vissuta. Comunicare: cioè mettere in comune. Un atteggiamento così raro ed esemplare che merita un grazie a nome di tutti. In questa intervista Nives “comunica” con i lettori di “Réservé”.
“Quel territorio nascosto da scoprire e raccontare”
Nives, qual è oggi la sua idea di montagna?
Un territorio nascosto, dell'anima, che gli alpinisti scoprono e devono raccontare, camminando leggeri per rispettarlo. Ho cominciato a scarpinare che avevo 15 anni nel raggio d'azione che allora ci consentiva l'autostop o il motorino. Le montagne del Friuli con cui familiarizzavo sono basse, sui 2'5002'800 metri, ma sono state una scuola fondamentale. Mi hanno insegnato a muovermi consapevole di ogni passo, con responsabilità.
Cosa prova pensando al suo, al vostro primato?
Oltre che prima coppia ad essere riusciti in questa impresa, siamo anche la prima cordata. Altri hanno fatto qualche scalata insieme, poi ciascuno ha seguito la propria strada; noi siamo anche l'alleanza di due persone unite per salire sui tetti più alti della Terra. Quando con l'Annapurna - 8'091 metri - abbiamo raggiunto quota 14, è stata per noi un'esperienza indimenticabile: non tanto sulla cima ma al rientro, al campo base, dove ci ritrovammo in 7 alpinisti, sconosciuti - salvo uno - prima di allora e diversi per età, lingua, provenienza, storie personali.
Con noi due c'erano due spagnoli, uno slovacco e due rumeni: un traguardo condiviso aveva cementato un'intesa.
La forza del collettivo…
Tutti e sette cullavamo nel cuore il desiderio di salire la montagna. Ognuno aveva la disponibilità ad ascoltare l'altro per concordare le modalità di avanzata. L'alleanza tra esseri umani è la forza più formidabile che esista in natura. L'Annapurna è stata l'ultima perla preziosa che ha completato la collana dei 14 titani.
Sono molte le fatiche che devono affrontare gli alpinisti. Parafrasando Luca Carboni, ci vuole un fisico bestiale per sopportare passaggi dal sole feroce al ghiaccio rabbrividente… Quando si raggiunge un traguardo, la gioia fa dimenticare lo sforzo. A volte, quando la fatica dell'ascesa diventa perfino brutale, mi chiedo: ma non si starebbe meglio sul divano di casa? Confesso di aver trovato l'equilibrio per economizzare le energie e gli sforzi. Un aspetto che mi pesa molto ultimamente sono le notti in alta quota, perché lunghissime. Cominciano già al pomeriggio, te ne devi star lì, chiusa in tenda, con il poco ossigeno che c'è. Le ore non passano mai. Quando si è a quote altissime non è che si dorma: bisogna solo aspettare che arrivi il giorno per poter ripartire. L'umidità, il freddo, il poco ossigeno che ci si ruba a vicenda, si fanno sentire. Sarà l'età…