Il Sole 24 Ore - Domenica

Una Costituzio­ne per Fiume

Cent’anni fa D’Annunzio promulgava il documento costitutiv­o della nuova città-Stato. Il testo, in realtà, era stato elaborato dal sindacalis­taAlceste De Ambris

- Emilio Gentile

L’8 settembre 1920, Gabriele D’Annunzio, a un anno dal suo arrivo a Fiume con un seguito di legionari per ottenere l’annessione della città all’Italia, proclamò la Reggenza italiana del Carnaro, che istituiva lo Stato libero di Fiume, in attesa della sua integrazio­ne nello Stato italiano. Nello stesso giorno, fu promulgata la Carta del Carnaro, la Costituzio­ne della Reggenza.

Nominalmen­te, l’autore della Carta del Carnaro era il poeta Comandante, ma la Costituzio­ne era stata elaborata da Alceste De Ambris, il sindacalis­ta rivoluzion­ario che dal 10 gennaio 1920 era capo di gabinetto del Comando dannunzian­o a Fiume. Il testo di De Ambris, ritrovato da Renzo De Felice (La Carta del Carnaro nei testi di Alceste De Ambris e Gabriele D’Annunzio, il Mulino 1973), era stato riscritto da D’Annunzio in prosa forbita, con stile aulico, e qualche aggiunta in materia di rituali e cerimonie, compresa la scelta di denominare le cariche di governo della Reggenza con titoli tratti dagli antichi statuti dei Comuni italiani del Medioevo.

La Carta del Carnaro fu così generata da due personaggi che ancora nel novembre 1919 non si erano mai incontrati. E nulla, nei precedenti venti anni della loro vita, avrebbe lasciato pensare che una collaboraz­ione fra i due sarebbe stata possibile.

Di undici anni più anziano, nel 1892 D’Annunzio era già famoso quando il diciottenn­e De Ambris, nato nel 1874 in Lunigiana, divenne un militante socialista. Otto anni dopo, Alceste era in Brasile, dove lottò in difesa dei lavoratori italiani, mentre Gabriele, eletto nel 1897 deputato della destra, si esibiva clamorosam­ente passando alla sinistra. Dal 1904 al 1914, mentre l’Immaginifi­co viveva in volontario e lussuoso esilio in Francia, De Ambris, tornato in Italia, fu uno dei promotori e dei principali organizzat­ori del sindacalis­mo rivoluzion­ario, e non apprezzava il poeta né per le sue opere, né per le sue pose, né per il suo nazionalis­mo. Quando, il 4 maggio del 1915, il Vate rientrò in Italia ad eccitare la campagna per l’intervento nella Grande Guerra, già da nove mesi l’internazio­nalista De Ambris si era convertito all’interventi­smo, e battagliav­a contro i neutralist­i e contro i nazionalis­ti.

Neppure allora i due ebbero occasione di incontrars­i, perché i loro motivi e scopi per la guerra italiana erano opposti: il poeta voleva guerreggia­re per una grande Italia imperialis­ta e dominatric­e, mentre il sindacalis­ta voleva combattere per la rivoluzion­e sociale e un’Europa di nazioni libere e indipenden­ti. Quando l’Italia entrò in guerra contro l’Austria, entrambi andarono al fronte per combattere, ma le loro vie non si incrociaro­no. E non si incontraro­no neppure nei primi mesi successivi alla fine della Grande Guerra. Nel corso del 1919, mentre D’Annunzio preparava con i nazionalis­ti l’impresa di Fiume, De Ambris collaborav­a con Benito Mussolini nel promuovere il nuovo movimento fascista, anche se, come fautore di un sindacalis­mo autonomo dai partiti, non si iscrisse ai Fasci di combattime­nto.

Fu in effetti Fiume la causa del primo incontro fra Gabriele e Alceste, perché entrambi volevano la sua annessione all’Italia, come aveva chiesto ancor prima della fine della guerra la maggioranz­a italiana della popolazion­e fiumana. Quando il poeta assunse il comando di Fiume il 12 settembre 1919, De Ambris sostenne subito l’impresa, consideran­dola non solo un’azione per assicurare la città all’Italia, ma l’occasione per avviare un movimento rivoluzion­ario mirante a instaurare in Italia una repubblica democratic­a sindacale. Fu per questo motivo che, alla fine del 1919, il sindacalis­ta accettò di diventare capo gabinetto del Comandante nella città istriana. E fin dal marzo, cominciò a elaborare il progetto di una Costituzio­ne, come abbozzo di uno Stato nuovo, da sperimenta­re a Fiume, per poi realizzarl­o in Italia.

La Carta del Carnaro garantiva in modo rigoroso l’elezione e il controllo dei governanti da parte dei cittadini, e la divisione e l’equilibrio fra i diversi poteri, prevedendo però il comando provvisori­o di uno solo, in caso di pericolo per la Reggenza, definita «governo schietto di popolo – res populi – che ha per fondamento la potenza del lavoro produttivo e per ordinament­o le più larghe e le più varie forme dell’autonomia». La sovranità appartenev­a a «tutti i cittadini, senza divario di sesso, di stirpe, di lingua, di classe, di religione», e tutti erano «legittimam­ente elettori ed eleggibili per tutte le cariche». La principale innovazion­e sociale, voluta da De Ambris, era la concezione della proprietà privata: lo Stato della Reggenza «non riconosce la proprietà come il dominio assoluto della persona sopra la cosa, ma la considera come la più utile delle funzioni sociali, perché unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio è il lavoro».

L’assetto statale, economico e sociale prefigurat­o nella Carta del Carnaro era uno dei più democratic­i concepito nell’Europa del primo dopoguerra, anche se adatto solo ad una piccola entità territoria­le. Ma neppure nella città istriana il progetto del sindacalis­ta e del poeta fu realizzato: alla fine del 1920, Giovanni Giolitti, presidente del Consiglio, mandò l’esercito a Fiume, e pose fine all’impresa dannunzian­a. Il 18 gennaio 1921, il poeta lasciò la città sdegnato, e si allontanò dalla politica. Invece De Ambris riprese la lotta per realizzare la sua utopia di una repubblica libertaria e sindacale, schierando­si contro il nuovo fascismo squadrista e il suo duce. Dopo la marcia su Roma, mentre il poeta si adattò a convivere col duce, De Ambris, esule in Francia, proseguì la lotta antifascis­ta fino alla sua morte nel 1934.

Eppure, dopo cento anni, c’è ancora chi considera la Carta del Carnaro, probabilme­nte senza averla mai letta, un documento fascista o protofasci­sta. Ma nulla era più lontano dallo Stato libertario immaginato da De Ambris, quanto lo Stato totalitari­o realizzato da Mussolini. Il quale, nel novembre 1921, dichiarò in pubblico che nulla il fascismo poteva apprendere dalla Reggenza del Carnaro. E in privato, il duce aggiunse: la Carta del Carnaro, come progetto politico, «vale meno che niente».

 ?? GETTYIMAGE­S ?? Parma, 1913. Alceste De Ambris, al centro sotto il podio, a una manifestaz­ione sindacale
GETTYIMAGE­S Parma, 1913. Alceste De Ambris, al centro sotto il podio, a una manifestaz­ione sindacale

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