Paura del virus e dell’isolamento Gli anziani e la nuova vita in casa
La presidente della commissione Ue von der Leyen: «Lo so, è difficile, ma potrebbe durare sino a fine anno» Le ricadute sulle fasce più vulnerabili della popolazione
I cittadini anziani dell’ue potrebbero dover rimanere in isolamento o limitare i contatti «sino alla fine dell’anno» per evitare il rischio di contrarre il coronavirus. L’ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in un’intervista al quotidiano tedesco Bild. «So che è difficile, che l’isolamento è un peso, ma è una questione di vita o di morte».
Il coronavirus sta sconvolgendo non solo l’economia e gli equilibri occupazionali in tutto il pianeta. Sta anche modificando radicalmente il ruolo degli anziani nella società. Siamo abitati da anni a fare i conti con quei «diversamente giovani» che, a 80 anni, sono attivissimi, progettano il futuro, viaggiano e si innamorano, curano il proprio aspetto e si dedicano allo sport, alle attività culturali, si costruiscono insomma un ultimo capitolo all’insegna della leggerezza e dell’ottimismo senza pesare sui figli e sui nipoti. Il coronavirus, nel giro di poche settimane, sta cancellando un quadro così idilliaco. Fino a poco più di un mese fa la terza e quarta età erano viste (dalla pubblicità e dal mercato) come un’isola di serenità. Oggi sono assediate dalla paura del contagio, della sofferenza, della morte.
Le cifre dell’istituto superiore di sanità, nella loro chiara freddezza, non lasciano spazio a dubbi o a interpretazioni. A ieri, ecco una rapida analisi anagrafica su 18.641 decessi da coronavirus analizzati. Il 52% di quei morti ha più di 80 anni. In particolare, il 40,4% era nella fascia 80-89 e il 11,6% aveva superato i 90 anni. È la vistosa amputazione di una intera generazione, quella nata negli anni (spesso ben prima) della Seconda guerra mondiale, protagonista della ricostruzione nel dopoguerra, che ha animato gli anni del boom economico ed è arrivata fino al 2020 complessivamente in buone condizioni fisiche e di spirito. Ancora le cifre. Anche la fascia compresa tra i 70 e i 79 anni paga il suo tributo di morte con il 31,5%. E quindi, indicando gli over 70 nel loro complesso, arriviamo all’83,5.
Il decennio immediatamente precedente, ovvero le persone scomparse che avevano tra i 60 e i 69 anni, cala all’11,5%. Cifra che fa lievitare al 95% i decessi di chi aveva più di 60 anni.
Le realtà anagrafiche ancora precedenti precipitano immediatamente a percentuali molto più basse: 3,8% tra i 50 e i 59 anni, solo lo 0,9% tra i 40 e i 49. Tra i 30 e i 39 siamo allo 0,2%, un infinitesimale 0,04% tra i 20 e i 29, nessun morto tra i 10 e i 19 e un solo bambino al di sotto dei 9 anni, ovvero lo 0,01% La mole di morti dei più anziani è ovviamente legata anche alle tragiche epidemie in tante Rsa.
L’annuncio di Ursula von der Leyen, guardando anche alle cifre italiane, diventa quasi un manifesto per il futuro orizzonte degli anziani. Cioè una nuova era di isolamento, la chiusura nella sicurezza delle mura domestiche, la sospensione di tanti rapporti familiari diretti, il ricorso alle nuove tecnologie per mantenerli in vita: le videochiamate, i messaggi, le più semplici e tradizionali telefonate.
Un filosofo come Sebastiano Maffettone, che ha appena concluso un piccolo saggio intitolato «Etica pubblica e pandemia», offre una chiave per non disperare: «Vogliamo e dobbiamo sperare che la scomparsa di tanti anziani finisca. Ma la morte di chi ha tanta vita alle spalle non ne cancella certo le idee, gli affetti, lo spirito, i legami, le opere anche quotidiane e familiari. Non è un modo di dire, ma restano nei nostri cuori, nella discendenza che hanno lasciato. Diciamo che se, dal punto di vista empirico, i decessi sono tanti, da quello trascendentale certo non finisce tutto da un giorno all’altro. Ho perso alcuni amici, recentemente. Non posso più andare a cena con loro, o litigarci. Ma restano con me, nella mia vita quotidiana».