Sfiducia nella scienza e opinione pubblica Realtà o mito?
Un tema che emerge spesso negli ultimi tempi è quello della (s)fiducia nella scienza. In modo perlopiù abbastanza vago, si lamenta una presunta crescente sfiducia dell’opinione pubblica nella ricerca e nei suoi esponenti. In modo altrettanto vago, si prendono come indicatori di questa sfiducia discussioni sui social media o interventi di leader politici conservatori (come Trump, Bolsonaro, Johnson).
Si tratta di un grossolano e fuorviante equivoco. Tutti i dati nazionali e internazionali ci dicono infatti che la fiducia dell’opinione pubblica nella scienza è molto elevata e negli ultimi anni è addirittura cresciuta. In Italia il dato è aumentato nell’ultimo decennio di 14 punti percentuali (dal 68% all’82%, fonte: Osservatorio Scienza Tecnologia e Società). La fiducia dei cittadini in scienziati e ingegneri è inoltre nettamente superiore rispetto ad altre categorie professionali (65% rispetto al 4% dei giornalisti e al 3% dei politici). Perfino negli Stati Uniti dell’era Trump, secondo i dati più recenti della Pew Foundation, l’86% degli americani ha fiducia nel fatto che gli scienziati “agiscano nell’interesse pubblico”, un dato cresciuto di 10 punti negli ultimi tre anni.
Come si spiegano dunque le quotidiane lamentazioni per la sfiducia nella scienza che di volta in volta evocano un po’ confusamente temi come il cambiamento climatico, i vaccini, le misure di contrasto all’attuale pandemia e perfino il cosiddetto “terrapiattismo”? È evidente che si trascurano, per pigrizia o ignoranza (e magari proprio da parte di chi sostiene di lottare contro le “fake news”!) dati ormai consolidati e ampiamente accessibili.
Ma è bene focalizzare altri elementi che inducono alla confusione. Primo: il rapporto tra politica e scienza. Oggi ci sono, è vero, forti tensioni nel rapporto tra il mondo politico e quello scientifico. Sempre più spesso i leader politici ritengono di poter mettere in discussione l’autorevolezza degli esperti, o addirittura di poter fare a meno della loro competenza. La polifonia di pareri esperti costituisce inevitabilmente un elemento di potenziale disorientamento tanto per i decisori politici quanto per i cittadini. Ma i due temi non vanno confusi o sovrapposti.
Secondo: si tende a sovrastimare posizioni critiche come quelle sui vaccini (per non parlare del terrapiattismo), nettamente minoritarie nell’opinione pubblica italiana ma sostenute da minoranze particolarmente attive e ‘vocali’ sui social (oltre che mediaticamente facilmente ‘notiziabili’). I dati ci dicono chiaramente che su temi legati alla scienza, e soprattutto quando si tratta di questioni così rilevanti per la salute (vaccini, pandemia), per quanto visibile e amplificabile, il ruolo dei social media risulta nettamente ridimensionato rispetto alle fonti istituzionali.
Infine, la rappresentazione del pubblico come ostile, scettico e ignorante ha una funzione ideologica, funzionale a sostenere una visione paternalistica e in definitiva autoritaria della comunicazione della scienza e del rapporto tra scienza e società. Una visione, come si è visto, che non ha nulla di “scientifico” ma riflette in larga misura pregiudizi infondati.
Secondo i dati in Italia gli scienziati sono molto più credibili di altre professioni