VIAGGI
LAZIO E ABRUZZO
Auf Traumpfaden im Herzen Italiens.
Abruzzen und Latium bieten viel mehr als eine atemberaubende Natur. Ein herzförmiger See und die Haupstadt der Konfektherstellung überraschen ebenso wie die kleinste Weinhandlung der Welt oder das „Gold der Abruzzen“, der wertvolle Safran von Navelli.
Quello che stiamo per visitare è un territorio racchiuso fra il Tirreno e l’Adriatico, ma il nostro traguardo non è il mare. Percorreremo terre che la storia ha dichiarato “di confine” – fra i Sabini e gli Equi nell’antichità, poi fra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, oggi fra Lazio e Abruzzo –, attraversate per secoli dai pellegrini diretti alla Città santa, Roma, il centro della cristianità. Anche noi ci sentiamo un po’ pellegrini, nell’intraprendere un viaggio che ci condurrà alla scoperta di un vero tesoro: non solo le piazze, i campanili, i vicoli e le mura merlate dei borghi più belli d’Italia sparsi fra la Ciociaria e la Maiella, ma anche lo spettacolo di una natura silenziosa eppure eloquente. Scorrendoci accanto lungo la strada, i parchi naturali che si alternano a imponenti massicci, ai laghi e alle colline ricordano anche a noi, moderni viandanti, che “il percorso è la meta”.
1 Primo giorno:
Castel di Tora e Antuni
Castel di Tora, il paesino che ci dà il benvenuto nell’entroterra laziale, arriva a malapena a 300 abitanti. Abbarbicato su un colle che si erge sulle sponde del lago artificiale del Turano, nella Riserva naturale Monte Navegna e Monte Cervia, questo borgo ci regala subito una vista incantevole: il suo profilo tipicamente medievale riflesso nelle acque del bacino, incorniciato a sua volta da fitti boschi dominati dal Monte Navegna. “Dalla sua sommità, nelle giornate più limpide, si può osservare persino la cupola di San Pietro a Roma”, ci assicura Paolo, la nostra guida. Non c’è bisogno di aguzzare la vista, perché la bellezza è ovunque e sbuca a ogni angolo,
che si cammini sulle sponde del lago respirando a pieni polmoni i profumi delle ginestre e del timo, o si esplorino gli stretti vicoli lastricati. Il borgo, adagiato in un piccolo paradiso naturale, conserva intatto tutto il suo fascino antico, l’aria è fresca e pulita, le poiane volano sopra le nostre teste. Sui crinali dei monti, tutto intorno, crescono castagneti secolari e accanto alle antiche carrarecce si dipanano i percorsi della transumanza, residui di una civiltà agreste non ancora del tutto perduta. Senza contare che le acque del lago sono balneabili, come ci ricordano i bagnanti che vediamo sulla spiaggetta di Colle di Tora, e vi si può praticare pesca sportiva, canoa, kayak, pedalò, vela, canottaggio.
Una strada sterrata, percorribile a piedi o in jeep, ci porta fino alla “città perduta” di Antuni. Questo borgo fantasma, che sorge su una penisoletta collegata alla terraferma da un istmo, fu bombardato nel 1944 dagli aerei americani e nel 1950 completamente abbandonato dai suoi abitanti. “Dopo oltre 40 anni di incuria, Antuni era ormai morta, ma fortunatamente nel 1992 il Palazzo del Drago fu acquistato dal Comune di Castel di Tora e nel 2002 è terminata l’opera di restauro e recupero delle strutture”, ci spiega Paolo. Un progetto che darà una nuova destinazione polifunzionale, museale e turistica al palazzo del X secolo e allo scenografico eremo di San Salvatore, a picco sul lago.
2 Secondo giorno: Subiaco e Tagliacozzo
Ripartiamo da Castel di Tora pieni di aspettative che non verranno disattese. A Subiaco ci accoglie la Rocca Abbaziale, meglio conosciuta come Rocca dei Borgia. “Secondo alcuni storici, nel 1476 e nel 1480 nacquero tra queste mura Cesare e Lucrezia Borgia, figli del cardinale Rodrigo Borgia”, ci racconta Martina, la giovane guida che ci accompagna alla scoperta del borgo laziale. “Inoltre, dalla metà del Quattrocento in poi, di qui sono passate tutte le grandi famiglie della nobiltà romana: Colonna, Barberini, Borghese – continua Martina – lasciando ognuno un segno nella struttura del castello”. In effetti la Rocca offre oggi uno spettacolo continuo, dentro e fuori le mura: gli appartamenti nobili dei Colonna e dei Braschi, riccamente dipinti e decorati, e un panorama unico sul borgo medievale di Subiaco e sulla Valle dell’Aniene. La storia di Subiaco è anche legata a un importante primato. “La nostra fu la città del primo libro stampato in Italia”, afferma Martina con orgoglio, mentre ci porta a visitare il Borgo dei cartai, nato per far rivivere la storia della cartiera di Subiaco, voluta da papa Sisto V nel 1587 e per quasi cinque secoli motore economico della città. Chiusa nel 2004, la cartiera oggi rivive con riproduzioni fedelissime e funzionanti di tutti i macchinari del ciclo produttivo della carta, con cui i visitatori si possono cimentare. Anche noi ci trasformiamo in cartai e, utilizzando le antiche tecniche e i materiali di produzione, fabbrichiamo un foglio di carta.
È ora di salire ad ammirare l’incanto del monastero di San Benedetto, la più nota attrazione della città. Martina ci conduce a scoprire la Chiesa Superiore, con i suoi affreschi di scuola senese del XIV-XV secolo, da cui si scende alla Chiesa Inferiore, sulla quale si affaccia il cosiddetto Sacro Speco, la grotta dove il giovanissimo Benedetto da Norcia trascorse tre anni da eremita. Lo spettacolo non può che lasciare a bocca aperta, per i colori vividi degli affreschi, perfettamente conservati, e la mirabolante struttura del monastero, letteralmente abbracciato alla roccia, che fa da parete ad alcuni ambienti interni. A pochi chilometri si trova poi il più antico monastero benedettino del mondo: consacrato a Santa Scolastica, fu fondato da San Benedetto e nel 1465 ospitò la tipografia dove fu stampato il primo libro a caratteri mobili in Italia. Fa da cornice a
questi storici monasteri, impressionante quinta naturale, il Parco dei Monti Simbruini, che si estende per 30.000 ettari ai confini tra Lazio e Abruzzo, con cime che superano i 2.000 metri.
Con le immagini di questo incredibile territorio ancora negli occhi, ci apprestiamo a lasciare il Lazio alla volta dell’Abruzzo. Dopo un viaggio di una cinquantina di chilometri raggiungiamo Tagliacozzo, borgo legato a uno degli eventi più importanti del Medioevo: la battaglia tra Corradino di Svevia e Carlo D’Angiò, che nel 1268 segnò la fine della dinastia sveva in Italia. Una storia millenaria, quella di Tagliacozzo, raccontata da ogni vicolo. Nella chiesa duecentesca di San Francesco, ad esempio, dove sono custodite le reliquie del Beato Tommaso da Celano, primo biografo del patrono d’Italia. Fabio, che ci fa da guida, invita ad ammirare l’annesso convento dei francescani: il chiostro, con gli affreschi del 1600 che raffigurano episodi di vita del santo, è un capolavoro, così come la volta d’entrata, su cui è dipinto l’albero genealogico dell’ordine francescano. Percorriamo Via dei Cordoni, dove si trova il palazzo della famiglia Resta, che nel 1830 ospitò il re di Napoli, Ferdinando II. Nel Palazzo Ducale, del XIV secolo, rimaniamo per un pezzo con il naso all’insù ad ammirare gli splendidi affreschi rinascimentali della cappella al secondo piano, che decorano pareti e soffitto con quattro storie della vita di Cristo. Spicca fra tutte la scena della natività, in cui forme e colore si fanno poesia e ci lasciano incantati.
3 Terzo giorno: il lago di Scanno e Sulmona
Eccoci a Scanno, che si sviluppa tra i 950 e i 2.250 metri di altitudine all’interno del Parco nazionale d’Abruzzo. Il borgo è famoso soprattutto per il suo lago, uno specchio d’acqua dalla caratteristica forma a cuore, incastonato tra i Monti Marsicani. È ideale per praticare la canoa e il windsurf, ma anche semplicemente per una romantica passeggiata sulla sponda, o per un tuffo nelle acque balneabili color verde smeraldo. Qui, attorniati dalla bellezza di questa natura incontaminata, sentiamo di avere di fronte il vero ambiente appenninico.
Arriviamo a Sulmona, nella grande Piazza Garibaldi, e la città ci appare subito grande e dinamica rispetto ai piccoli borghi cui ci siamo abituati. La nostra guida, Stefania, ci parla delle origini romane di questo posto, citando le parole di uno dei suoi più prestigiosi cittadini, il poeta latino Ovidio, nato qui nel I secolo a.C.: Sulmo
mihi patria est, gelidis uberrimus undis, ovvero “la mia patria è Sulmona, ricchissima di gelide acque”. Ci colpisce la straordinaria quantità di fiori, che vediamo ovunque: quelli sui balconi e quelli fatti di confetti,
che colorano e diffondono la loro fragranza lungo tutto il Corso Ovidio. Sì, perché Sulmona è l’indiscussa patria dei confetti. Si fabbricavano alla “maniera moderna” già nel XV secolo, ma alcuni documenti ne attestano l’esistenza già nel Trecento. Non ci lasciamo sfuggire l’occasione di visitare una delle aziende familiari che li produce dal 1833, la confetteria William Di Carlo, che ci travolge in un vortice di profumi, colori, sapori. “Produciamo ben 37 tipi di confetti, 300 chili al giorno”, ci spiega Franca, che lavora in confetteria da oltre 30 anni. Accanto al tradizionale confetto alla mandorla, i nuovi gusti sono i più vari: dal cubano a base di rum, cannella e cioccolato, a quelli al pistacchio o alla fragola. Al piano superiore si tengono anche corsi di confezionamento… Naturalmente ci cimentiamo anche noi, realizzando un fiore di confetti simile a quello che abbiamo visto per le vie della città.
4nazionale Quarto giorno: Pacentro e Navelli
Porta naturale e cuore del Parco
della Maiella, Pacentro è quasi un’epifania: ci saluta con la sua silhouette di fitti edifici in pietra arroccati sopra un rilievo di 700 metri, da cui svettano le torri dell’antico Castello Caldora. Sullo sfondo, montagne e ancora montagne, a perdita d’occhio. Marilisa, assessore al territorio del comune di Pacentro, ci spiega che il borgo “è interamente costruito con la pietra bianca della Maiella”, e la luce del sole che si riflette nei vicoli ce lo conferma immediatamente. Durante la nostra passeggiata ammiriamo nelle botteghe le tipiche statuine di terracotta del presepe pacentrano, mentre dalle scalinate si aprono splendidi scorci. Poi Marilisa ci invita a salire sulla Torre del Caldora, che prende il nome dal valoroso capitano di ventura Giacomo Caldora, grazie al quale il borgo raggiunse il suo massimo sviluppo nel XV secolo. Da qui il panorama sulla Valle Peligna e sulla Maiella è semplicemente da togliere il fiato.
Ci muoviamo verso l’ultima tappa del nostro itinerario, dove i rilievi del Gran Sasso digradano fino alla piana di Navelli, in provincia dell’Aquila. Ci troviamo in una delle valli più suggestive dell’Abruzzo, cuore medievale della regione, costellata di borghi in pietra, castelli e antiche pievi. In autunno, quando la natura sta per mettersi a riposo, alcune piantine entrano nel pieno del loro ciclo vitale. Sono le piante di zafferano, la cui faticosa maturazione culmina a fine ottobre, quando raggiungono i 12-40 centimetri di altezza necessari per sorreggere un meraviglioso e pregiatissimo fiore. In questa piana, ai piedi del colle su cui si arrocca il borgo di Navelli, da metà ottobre si rinnova ogni anno la raccolta dei fiori, dai petali di colore viola intenso, che avviene rigorosamente all’alba e a mano. Lo zafferano si ricava dai pistilli, estratti manualmente da ogni fiore, che ne può contenere al massimo tre. Non è difficile capire perché questa spezia viene anche chiamata “oro rosso” [vedi anche ADESSO 9/2008]. Ci arrampichiamo per le viuzze strette e silenziose del paesino, ormai quasi disabitato, e passeggiamo nel suo bel centro storico medievale. Un luogo di pace, forse il migliore da cui poter salutare l’Abruzzo e il suo territorio così denso di suggestioni e ancora poco conosciuto. È proprio vero: fermandosi a leggere il paesaggio, visitando lentamente aree poco conosciute e a volte marginali, il percorso diventa la meta e alla fine ci si sente un po’ meno turisti e un po’ più viaggiatori.