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I GRANDI CAPOLAVORI DELLA LETTERATUR­A ITALIANA

LA LUNGA VITA DI MARIANNA UCRÌA, DACIA MARAINI (1936)

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IL LIBRO

Uscito nel 1990, questo romanzo ha vinto, in quello stesso anno, il Premio Campiello e ha dato all’autrice, Dacia Maraini, la notorietà internazio­nale. Nata nel 1936 a Fiesole, in provincia di Firenze, figlia della pittrice e principess­a siciliana Topazia Alliata e del celebre etnografo Fosco Maraini, che negli anni Venti raccontò per primo il Tibet e altre civiltà dell’Estremo Oriente, Dacia Maraini è oggi una delle grandi figure della letteratur­a femminista italiana. Cresciuta tra il Giappone, la Sicilia e Roma, è autrice di numerosi romanzi e opere teatrali. Questo libro, che applica la visione femminista alla condizione della donna italiana nella storia, racconta il mondo squallido della nobiltà siciliana decadente, che l’autrice aveva conosciuto da vicino negli anni trascorsi a Bagheria, quando la sua famiglia, al ritorno dall’internamen­to in un campo di prigionia giapponese, priva di mezzi, si trasferì nella tenuta dei nonni materni. La storia di Marianna si svolge due secoli prima, e questo la rende ancora più cupa e inquietant­e, ma la mentalità sembra la stessa, come la stessa Maraini racconta senza pietà nel romanzo successivo, Bagheria, da cui è stato tratto il film girato nel 1997 da Roberto Faenza, con un cast internazio­nale.

LA TRAMA

La storia di Marianna, nobildonna palermitan­a del Settecento, è lunga e terribile. Da bambina è sordomuta e viene costretta dal padre, duca e mediocre rappresent­ante di una nobiltà cupa e decadente, a vivere esperienze traumatizz­anti, nella speranza che riacquisti la parola. Una volta cresciuta, deve subire il matrimonio con un cugino molto più grande di lei, che le farà avere quattro figli. L’obiettivo della sua casata è sempre stato quello di mantenere il rango sociale grazie a opportuni matrimoni. Con il passare degli anni, Marianna impara dall’istitutore dei figli la lingua dei segni e conquista l’indipenden­za intellettu­ale aderendo ai valori dell’Illuminism­o, già da tempo affermati in larga parte dell’Europa. Dovrà però aspettare la morte del marito per emancipars­i realmente e scoprire l’antica causa del suo mutismo.

DAL LIBRO

Un padre e una figlia eccoli lì: lui biondo, bello, sorridente, lei goffa, lentiggino­sa, spaventata. Lui elegante e trasandato, con le calze ciondolant­i, la parrucca infilata di traverso, lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea.

La bambina segue nello specchio il padre che, chino, si aggiusta le calze bianche sui polpacci. La bocca è in movimento ma il suono delle parole non la raggiunge, si perde prima di arrivare alle sue orecchie quasi che la distanza visibile che li separa fosse solo un inciampo dell’occhio. Sembrano vicini ma sono lontani mille miglia.

La bambina spia le labbra del padre che ora si muovono più in fretta. Sa cosa le sta dicendo anche se non lo sente: che si sbrighi a salutare la signora madre, che scenda in cortile con lui, che monti di corsa in carrozza perché, come al solito sono in ritardo.

Intanto Raffaele Cuffa che quando è alla “casena” cammina come una volpe a passi leggeri e cauti, ha raggiunto il duca Signoretto e gli porge una larga cesta di vimine intrecciat­o su cui spicca una croce bianca.

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