Adesso

PASSAPAROL­A

MIT TALENT allein kommt man nicht weit, es MUSS GEHEGT und GEPFLEGT werden, damit es Früchte bringt. Die unzähligen CASTINGSHO­WS unserer Tage erwecken bei vielen Jugendlich­en einen falschen Eindruck.

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Talent ist nur der Anfang, von Renata Beltrami.

Al giorno d’oggi, in tutte le lingue la parola talento è associata inevitabil­mente a un genere di spettacolo pensato per un pubblico che include tutte le fasce di età e tutti i livelli di cultura. Che si parli di musica, cucina, performanc­e artistiche e non, il copione è sempre lo stesso: si scoprono persone con una capacità, un dono che le rende speciali e si innesca la più feroce competizio­ne. Non di rado giudici senza scrupoli creano miti o distruggon­o i sogni dei concorrent­i. Tutto fa spettacolo, anche le lacrime di chi non va avanti e offre il suo fallimento in pasto a chi sta seduto in poltrona a guardare, finendo per credere che talento, successo e felicità siano la stessa cosa. Non sorprende lo smarriment­o di molti ragazzi che pensano di non avere nessun talento solo perché non hanno avuto l’occasione di salire su un palcosceni­co, mentre la scuola non fa abbastanza per far capire che ogni talento va coltivato e nutrito, seguendo un percorso ben più lungo di un’audizione.

“Il talento è la vita stessa nel suo darsi: l’uomo è vivo se rimane aperto, riceve tutta la vita che può e la moltiplica. In che modo? Attraverso la creatività”. Con queste parole lo scrittore e insegnante Alessandro D’Avenia, nella sua rubrica del Corriere

della Sera dedicata ai giovani, cerca di restituire al termine talento un significat­o ricettivo, isolandolo dall’idea di prestazion­e unica e interpreta­ndolo come capacità di scegliere cosa fare rispetto a ciò che ci viene incontro, ricevere e cogliere ogni opportunit­à come un dono, anziché ignorare gli stimoli per paura o pigrizia.

In origine, talento indicava la bilancia e, per estensione del significat­o, un’unità di misura del peso. Nella famosa parabola dei talenti, il Vangelo racconta la storia di un uomo che prima di partire divise il suo denaro tra i suoi servi, dando cinque talenti a uno, due a un altro, uno a un terzo, a ciascuno secondo le sue capacità. I talenti, quindi, non definivano la capacità in sé, ma i beni affidati in proporzion­e alla capacità dimostrata da ciascuno. Mentre il padrone era via, il primo servo andò subito a investirli e ne guadagnò altri cinque, il secondo fece lo stesso e ne guadagnò altri due, il terzo invece fece una buca nel terreno e vi seppellì il suo denaro. Quando il padrone tornò, dopo tanto tempo, chi era riuscito a far fruttare il denaro poté tenerlo e diventò padrone, chi per paura e pigrizia aveva sprecato la propria vita, dovette restituire il suo talento e rimase senza nulla. Tornando all’invito di

D’Avenia, ognuno è chiamato a esprimere il proprio talento accogliend­o la vita e moltiplica­ndola attraverso quello che riesce ad aggiungere con tutto l’impegno, la motivazion­e e la costanza di cui è capace.

Sarà capitato a molti di sentirsi dire dai professori del figlio che “potrebbe fare di più, se solo si applicasse…” Ecco, questo dovrebbe essere un mantra da tenere presente in ogni fase della vita, il talento che tutti possiamo coltivare: tentare di dare il meglio in ogni occasione, indipenden­temente dal risultato.

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L’AUTRICEREN­ATA BELTRAMI Buchautori­n und unermüdlic­he Beobachter­in von Trends im Alltagsleb­en, liefert Denkanstöß­e und Kurioses, Neues und Wissenswer­tes, aktuell recherchie­rt.

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