Care lettrici, cari lettori,
Quante ne diciamo, ogni giorno, noi italiani. Un numero incalcolabile, nella maggior parte dei casi senza rendercene conto. Le parolacce esprimono spesso rabbia, sdegno, disprezzo, ma per quanto strano possa sembrare, a seconda del modo in cui si dicono e del contesto, possono significare anche ammirazione. Certo, non sono un’invenzione dei nostri tempi: si dicevano persino all’epoca degli Egizi, proprio con l’intenzione di essere volgari o di insultare. Tuttavia, nel passato più o meno lontano, caratterizzavano il modo di essere e di esprimersi di “certi” ambienti. Le persone “perbene” non dicevano parolacce! Anzi, il segno distintivo della persona ben educata o culturalmente elevata era proprio la quasi totale assenza di parolacce dal suo vocabolario.
La parolaccia era un segno di trasgressione negli ambienti intellettuali, nei quali rappresentava un tratto quasi rivoluzionario, di rottura delle convenzioni borghesi. Il problema è che, rompi oggi rompi domani, le parolacce hanno superato le barriere sociali per entrare nel linguaggio comune anche di quelli che un tempo erano considerati i ceti più elevati. Da qualche anno, poi, è in corso un processo di livellamento della società verso il basso. Essere pop anche a costo di scadere nella volgarità va di moda e così oggi, in Italia, le parolacce le dicono un po’ tutti e ovunque, televisione compresa. Se un tempo erano bandite dagli schermi parole come cosce o incinta, oggi basta guardare qualunque talk show, soprattutto quelli in cui si parla di politica, per prendere lezioni di parolacce. Sia chiaro, questo booklet non vuole essere un elogio della parolaccia, né un invito a farne uso. La nostra missione è farvi conoscere in tutti i loro aspetti la cultura e la lingua italiane di oggi. Le parolacce ne fanno parte e, per accompagnarvi in questo meraviglioso viaggio, non potevamo non occuparcene.