L’ITALIA IN DIRETTA
Quote 100, die Rentenreform, von Michael Braun.
Mit der magischen Formel für die Rentenreform und dem Bürgereinkommen löst die Regierung ihre Wahlversprechen ein. NICHT
ALLE PROFITIEREN DAVON! Außerdem belasten die Maßnahmen
den ohnehin überschuldeten Staatshaushalt enorm…
“Tanto impegno ma ci siamo: dalle parole ai fatti!” Era raggiante Matteo Salvini, vicepremier e leader della Lega, alla conferenza stampa del 17 gennaio, convocata per presentare la riforma delle pensioni e l’introduzione del reddito di cittadinanza. Con lui c’erano il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, vicepremier e capo del Movimento 5 Stelle (M5S), pronto a spargere a sua volta entusiasmo a piene mani, dichiarando che “in poco più di 20 minuti il consiglio dei Ministri ha deciso di fondare un nuovo Welfare State in Italia”. Il governo prevede una spesa cospicua, circa sei miliardi di euro già nel 2019, per aiutare poveri e disoccupati con il nuovo reddito di cittadinanza. Inoltre investe altri quattro miliardi sul versante delle pensioni, rendendo più facile il ritiro anticipato rispetto ai 67 anni di età necessari per percepire la pensione di vecchiaia.
La riforma pensionistica del governo Cinque stelle-Lega ha un nome facile facile: Quota 100. Dal 1° aprile 2019 basta avere compiuto 62 anni e avere versato 38 anni di contributi pensionistici per mettersi a riposo. Va detto che questo intervento incontra il favore della maggioranza dei cittadini: in un sondaggio realizzato a gennaio 2019 dall’Istituto Piepoli, il 56% degli intervistati si è dichiarato d’accordo. Questo consenso si spiega facilmente se si torna indietro di qualche anno, al novembre 2011. L’Italia era stata investita in pieno dalla crisi dell’euro e si trovava sull’orlo del collasso. L’allora premier Silvio Berlusconi dovette rassegnare le dimissioni e fare posto a un governo tecnico guidato da Mario Monti, che con uno dei suoi primi atti intervenne pesantemente sulle pensioni. L’età pensionabile passò immediatamente a 66 anni, per arrivare a 67 anni nel 2019 ed essere fissata a 67 anni e 11 mesi per il 2027. Soprattutto, fu eliminata la possibilità di andare in pensione anticipata dopo avere versato 40 anni di contributi. Con la Riforma Fornero – che prese il nome dell’allora ministra del Lavoro, la professoressa universitaria Elsa Fornero – questa via d’uscita fu chiusa una volta per tutte. Da un giorno all’altro milioni di italiani, operai, impiegati o insegnanti che avevano progettato di andare in pensione a 62 o 63 anni, dovettero accettare l’idea di continuare a lavorare fino a 66 o 67 anni.
Adesso Quota 100 riapre i giochi. Certo, chi andrà in pensione a 62 anni perderà qualcosa. Un lavoratore
che, ritirandosi a 67 anni, avrebbe percepito una pensione annua di 26.000 euro lordi, se smette di lavorare a 62 perde più di 5.000 euro e scende a 21.000 euro annui. Non gli è neppure consentito di guadagnare più di 5.000 euro all’anno con lavori saltuari. A prima vista, la situazione che si crea in Italia sembra molto simile a quella tedesca. In Germania si può andare in pensione anticipata a 63 anni. C’è però un grande ma: ci vogliono 45 anni di contributi, quindi potremmo parlare di “Quota 108”. Tornando in Italia, si stima che nel 2019 circa 350.000 persone usufruiranno di Quota 100. Già ai primi di febbraio, a decreto appena varato, circa 30.000 lavoratori avevano presentato la domanda. Ma i costi? Se nel primo anno ammontano a 4 miliardi, nei due anni successivi – al momento la riforma è in vigore soltanto fino al 2021 – aumenteranno notevolmente. L’Inps calcola che le casse previdenziali dovranno affrontare una spesa aggiuntiva di circa 40 miliardi. Costi che non spaventano il vicepremier Salvini, che si rallegra del “diritto alla pensione per un milione di italiani” nei prossimi tre anni. Di più: “Contiamo possa trasformarsi in diritto al lavoro per un altro milione di italiani che non deve scappare all’estero”, afferma. Sia i sindacati sia la Confindustria hanno espresso cauti apprezzamenti per Quota 100. Tuttavia i sindacati sottolineano che la riforma giova soprattutto ai lavoratori del Nord e agli impiegati pubblici, a svantaggio delle donne e del Sud. Infatti una persona, per arrivare a 38 anni di contributi, deve avere avuto una carriera lavorativa lineare, senza interruzioni. Arriva difficilmente a quei 38 anni chi ha accudito i figli o ha attraversato lunghi periodi di disoccupazione: una condizione spesso presente sia al Sud che fra le donne. Il punto cruciale è e rimane la sostenibilità economica di Quota 100. Già oggi i 23 milioni di occupati in Italia devono farsi carico, con i loro contributi, di 16 milioni di pensionati. Non solo: già oggi l’Italia, con un bassissimo tasso di nascite e anziani molto longevi, è il secondo paese “più vecchio” del mondo, battuta solo dal Giappone. In più l’Italia ormai da 20 anni accusa il tasso di crescita economica più basso di tutta l’eurozona. C’è quindi da temere che saranno i giovani di oggi a pagare domani il conto di Quota 100.