Lo Stretto di Messina
Arrivando via mare dalla Calabria, prima di toccare la Sicilia ecco venirci incontro il famoso mito di Scilla e Cariddi, due temibili mostri marini che ghermivano e divoravano i naviganti dopo averne distrutto le imbarcazioni. Vivevano infatti nello Stretto, il braccio di mare di soli tre chilometri che separa la Penisola dalla sua isola maggiore. Scilla era stata una ninfa amata dal pescatore Glauco, che per lei respinse addirittura la maga Circe. Pessima idea: la maga, accecata dalla gelosia, avvelenò l’acqua dove la ninfa era solita fare il bagno, così un giorno, quando lei mise piede fra le onde, si trasformò in un mostro con dodici braccia e sei teste di cane, ciascuna munita di tre file di denti. Così ridotta, Scilla finì a vivere in una grotta su uno scoglio, da dove, sporgendo le teste dai colli lunghissimi, perlustrava il mare alla ricerca delle sue prede. Anche Cariddi, figlia di Gea e Poseidone, in origine non era stata una creatura mostruosa. La sua impressionante voracità la spingeva però a divorare qualunque cosa le capitasse a tiro, fino a quando commise un errore imperdonabile: rubò e mangiò
la mandria che Ercole aveva sottratto a Gerione per conto di Zeus. Così il capo dell’Olimpo, che a quelle bestie teneva molto – e non sopportava di essere un ladro derubato –, prese la fanciulla, la trasformò in mostro e la scaraventò nello Stretto, dove Cariddi cominciò a nutrirsi aspirando le onde, ingoiandone tutto il contenuto e vomitando l’acqua in eccesso.
Scilla (“colei che dilania”) e Cariddi (“colei che risucchia”) sono la personificazione di due pericolosi vortici che si formano a causa delle correnti nello Stretto. A Messina è possibile “vederle in faccia”, incatenate ai piedi del dio Nettuno in una bella fontana cinquecentesca che si trova in Piazza Unità d’Italia. I due esseri mostruosi sono raffigurati come due creature femminili con la coda di pesce, che cercano di liberarsi dimenandosi e urlando. Scilla, che si riconosce per i sei musi di cane che le cingono il corpo, è una copia ottocentesca, come anche la statua di Nettuno. Per vedere gli originali occorre fare visita al MuMe, il Museo Regionale di Messina, dove è raccolto quanto è stato possibile recuperare dopo il terremoto del 1908, che rase al suolo quella che fino a quel momento era stata una delle città più ricche e cosmopolite del Mediterraneo. Fra le opere conservate in questo museo, oltre al Polittico di San Gregorio (1473) di Antonello da Messina, ci sono due grandi dipinti di Caravaggio: la Resurrezione di Lazzaro e l’Adorazione dei pastori, realizzati entrambi nel 1609.
Messina, interamente ricostruita nel corso del Novecento, è oggi una città dall’aspetto moderno, raccolta intorno a una bella piazza su cui si staglia il Duomo, edificato nel XII secolo e ricostruito nell’aspetto che aveva assunto a fine Ottocento. Anche le sue opere d’arte sono state recuperate quasi integralmente. A fianco della chiesa svetta un bel campanile con un pittoresco orologio astronomico del 1933, suddiviso in più livelli. È il più grande e complesso del mondo e ogni giorno, alle 12 in punto e per 12 minuti, diversi “personaggi” danno vita a un autentico spettacolo.