IL MARE NON BAGNA NAPOLI, ANNA MARIA ORTESE (1914-1998)
IL LIBRO
Pubblicato nel 1953 dall’editore Einaudi per iniziativa e con la presentazione di Elio Vittorini, il libro racconta il ritorno dell’autrice nella sua città natale devastata dalla guerra. Anna Maria Ortese era già nota per due raccolte di racconti e per l’attività di giornalista. Collaborava anche con la rivista culturale Sud, a cui faceva capo la nuova leva di intellettuali della rinata sinistra napoletana. Nonostante le frequenti e appassionate dichiarazioni d’amore per la sua città, il libro venne considerato “contro Napoli” perché ne registrava con poca speranza anche il male e le sofferenze estreme. Questa critica finì per pesare come una condanna e convinse la scrittrice ad andarsene per sempre. Decenni dopo, ripresentando il libro, Ortese rievocò le particolari circostanze di quel parto doloroso: alla fine della guerra, dopo lutti e grandi sofferenze personali, ritornare nella sua città aveva voluto dire per lei scontrarsi con una realtà che non le piaceva. Dal disagio che le causava essere testimone del senso di rovina che vedeva ovunque era derivata una personale nevrosi, di cui il libro era stato l’esito cupo e disperato, specchio dell’incapacità di conciliare la propria esigenza metafisica con il lavoro culturale dei colleghi e con la speranza di una rinascita spirituale.
Genere: racconto realista. Lingua: letteraria, abbastanza facile.
LA TRAMA
Il libro è composto di cinque racconti: i primi due si presentano come classici brani letterari, mentre gli altri tre fingono di essere reportage giornalistici. Tutti ritraggono la vita sociale e cittadina, le condizioni materiali e spirituali di famiglie devastate dalla guerra. L’ultimo, in particolare, ha la forma di un’indagine svolta tra gli intellettuali napoletani dell’epoca a Napoli. Presentati con nome e cognome, senza veli o riguardi, i protagonisti esprimono le loro personali opinioni in quello che oggi si chiamerebbe un “fuori onda” non autorizzato. Molti di loro si offesero e nacque la famosa controversia che portò la scrittrice ad allontanarsi da Napoli e trasferirsi al Nord, dove non smise di scrivere sulla sua città, alla quale dedicò in seguito le sue opere più celebrate.
DAL LIBRO
Era stata una settimana prima, con la zia, da un occhialaio di Via Roma. Là, in quel negozio elegante, pieno di tavoli lucidi e con un riflesso verde, meraviglioso, che pioveva da una tenda, il dottore le aveva misurato la vista, facendole leggere più volte, attraverso certe lenti che poi cambiava, intere colonne di lettere dell’alfabeto, stampate su un cartello, alcune grosse come scatole, altre piccolissime come spilli. “Questa povera figlia è quasi cecata, – aveva detto poi, con una specie di commiserazione, alla zia, – non si deve più togliere le lenti”. E subito, mentre Eugenia, seduta su uno sgabello, e tutta trepidante, aspettava, le aveva applicato sugli occhi un altro paio di lenti col filo di metallo bianco, e le aveva detto: “Ora guarda nella strada”. Eugenia si era alzata in piedi, con le gambe che le tremavano per l’emozione, e non aveva potuto reprimere un piccolo grido di gioia. Sul marciapiede passavano, nitidissime, appena più piccole del normale, tante persone ben vestite: signore con abiti di seta e visi incipriati, giovanotti coi capelli lunghi e il pullover colorato, vecchietti con la barba bianca e le mani rosa appoggiate sul bastone dal pomo d’argento: e, in mezzo alla strada, certe belle automobili che sembravano giocattoli, con la carrozzeria dipinta in rosso o in verde petrolio, tutta luccicante.