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È accorato l’appello con cui il premier Giuseppe Conte si è rivolto alla nazione nel suo drammatico discorso dell’11 marzo. Di fronte all’epidemia galoppante, al governo non è rimasta altra scelta che imporre gli arresti domiciliari all’intero paese, con i suoi 60 milioni di abitanti. Io resto a casa è diventata la parola d’ordine, declinata in maniera ben più rigida rispetto ad altri paesi. Fino all’entrata in vigore della cosiddetta “Fase 2” (prevista proprio a inizio maggio, con modalità diverse a seconda della regione), il decreto autorizza a lasciare la propria abitazione solo chi deve recarsi al lavoro, dal medico o a fare la spesa. È concessa l’attività motoria o la passeggiata con il cane. Tuttavia lo si deve fare sempre da soli e rimanendo a 200, 300 o 400 metri di distanza da casa, in base alle direttive locali.
Va detto che gli italiani, smentendo i pregiudizi che li vogliono individualisti, indisciplinati e anarcoidi, hanno subito accettato questo sconvolgimento della loro vita quotidiana. Uno sconvolgimento a due facce: fuori di casa vige il “distanziamento sociale”; in casa, per chi non è single, regna una vicinanza coatta, 24 ore su 24. Convivenza “forzata” che per alcuni ha significato riscoprire il piacere e il valore dello stare in famiglia, per altri si è trasformata presto nel peggiore degli incubi. “È una condanna agli arresti domiciliari e
rischiano di veder peggiorare la loro situazione. La psicoterapeuta Costanza Jesurum teme un’impennata di suicidi in questo periodo di lockdown. In una città come Torino sono aumentati i cosiddetti Tso, ovvero i “Trattamenti sanitari obbligatori”. Se di solito c’è un ricovero coatto ogni due giorni, con la chiusura del paese siamo arrivati a nove ricoveri ogni giorno. La provincia di Trento ha reagito cercando di tamponare la situazione. Lì le persone con disturbi psichici, ma anche gli autistici, possono chiedere un permesso speciale che li autorizza a uscire di casa.
Come dicevamo all’inizio, molti italiani hanno cercato di trasformare questo momento difficile in un’opportunità, in qualcosa di positivo che, si spera, potrà rimanere quando tutto sarà finito. Papà, mamma, la figlia adolescente o i bambini gemelli di 7 anni: di colpo si sono trovati rinchiusi insieme. Niente più scuola, niente più ufficio, niente più uscite con gli amici, niente più partite di calcio al parchetto vicino a casa. E la casa si trasforma. La stanza della figlia diventa un’aula scolastica. La mattina, alle nove, si sente la sua voce dietro la porta chiusa, “buongiorno, prof!” Poi risponde in francese alle domande dell’insegnante. Il salotto è diventato l’ufficio della mamma, dirigente amministrativa di un ente di ricerca, che ora lavora in smart working. Papà, insegnante di scuola media, si è invece sistemato nel tinello, da dove tiene la sua lezione di matematica in videoconferenza e poi prepara