Un
po’ di tempo fa, proprio su questa pagina, abbiamo commentato il ritorno della stretta di mano come forma di saluto più appropriata rispetto alla moda dei “baci e abbracci” tra sconosciuti [vedi ADESSO 6/2018]. Mai avremmo pensato di tornare sull’argomento con tutt’altri pensieri per la testa. In una situazione mai sperimentata prima ci è stato chiesto, consigliato e, alla fine, imposto di rinunciare non solo alla stretta di mano, ma a ogni forma di contatto con gli altri che comporti una distanza di meno di due metri.
Diventare asociali è diventato un diritto-dovere, in nome di una causa di forza maggiore. Non c’è niente di naturale nel trattenersi dall’abbracciare un figlio o un anziano di famiglia, ma lo facciamo per il loro e per il nostro bene. Come sopportare queste restrizioni? Daniel Goleman, precursore degli studi sull’intelligenza emotiva, ci ricorda che noi tutti veniamo al mondo “cablati per connetterci”. Il neonato capta i sentimenti che lo circondano: cresce e dorme se è circondato da affetto, si dispera se la mamma è nervosa o, peggio, se non c’è amore intorno a lui. Man mano che si cresce, l’ambiente ci chiede di disabilitare queste preziose antenne: non piangere, non arrabbiarti, non gridare… insomma, impara a controllarti. In teoria, ciascuno trova il suo equilibrio tra razionalità ed emozioni e di recente sono aumentati i libri e i corsi che aiutano a ritrovare l’empatia e a utilizzare le emozioni per quello che sono, cioè segnali, informazioni preziose, da integrare con i nostri processi cognitivi più razionali e sofisticati. Ecco che il timore diventa allora uno strumento importante al servizio dell’intelligenza, per affrontare i pericoli. Il coraggio non è certo l’assenza di paura, ma la capacità di riconoscerla e di usarla in maniera utile, prima che diventi panico.
Una delle riflessioni che rimarranno con noi dopo questa prova difficile sarà proprio che dobbiamo imparare ad accettare la vita nella sua complessità, anche quando lo scenario è ignoto. Un grande poeta inglese, John Keats, già due secoli fa parlava di capacità negativa per definire la dote di chi riesce a sopportare l’incertezza e a resistere all’urgenza di prendere decisioni immediate. Accettare di cambiare le cose è l’unico modo per non tentare di controllare l’incontrollabile in maniera immatura. Ecco allora la grande opportunità di questi tempi difficili: sperimentare una nuova forma di socialità e intimità, a cominciare da nuove forme di conviven- za tra generazioni. Potremmo scoprire che i nonni hanno da raccontare cose più interessanti della TV, che i pareri degli scienziati sono più autorevoli di Google, che aiutare il prossimo, anche solo tenendo conto della sua esistenza, è un modo per fare del bene a noi stessi e al mondo in cui viviamo.
Ecco come accontentarsi di un abbraccio ai figli via Skype, sapendo che li scalda comunque. E al diavolo le strette di mano…