L’ITALIA A TAVOLA FARRO E ORZO
Uralte, traditionell angebaute Getreidesorten werden wiederentdeckt. Sie sind nicht nur gesund, sondern auch sehr schmackhaft und bestens geeignet als Grundlage für leichte sommerliche Gerichte.
Alte Getreidesorten für köstliche Sommergerichte.
Con l’estate è arrivata la voglia di piatti leggeri e freschi, che possono aiutare a perdere qualche chilo accumulato durante i mesi freddi. Se però anche a voi la classica insalata di foglie verdi non dà grande soddisfazione e siete alla ricerca di qualcosa di più sfizioso, sappiate che il farro e l’orzo fanno al caso vostro. Pochi alimenti possono vantare infatti una combinazione così interessante di valori nutrizionali – elevata presenza di fibre, poche calorie, basso indice glicemico – uniti all’eccezionale capacità di indurre un senso di sazietà. Per questi motivi, ma anche per la loro versatilità, grazie alla quale sono la base ideale per le ricette più svariate, farro e orzo si sono guadagnati negli ultimi anni un posto di rilievo nella cucina italiana. Meglio sarebbe dire “riguadagnati”, perché entrambi i cereali erano conosciuti e apprezzati già dagli Etruschi e dagli antichi Romani. I ritrovamenti nelle tombe rupestri della Tuscia, la zona settentrionale del Lazio, ci hanno mostrato che in quest’area, così come probabilmente nel resto del territorio regionale, il primo cereale coltivato fu proprio il farro. Anche Plinio il Vecchio ne attesta il ruolo primario nella società romana: Far… primus antiqui Latii cibus, scrive nel suo trattato enciclopedico Naturalis Historia (I secolo d.C.). Il farro rientrava nella dotazione dei legionari alla conquista di nuovi territori ed è suggestivo ricordare che le spose donavano a Giove una focaccia cucinata con questo cereale e che il puls, a ragione considerato il “cibo nazionale” degli antichi Romani prima della diffusione del pane, era proprio a base di farro. Non esisteva una sola ricetta, ma, come spesso accade, ogni territorio – e probabilmente ogni casa – aveva la propria variante. Sappiamo che era una sorta di polenta di farro tostato e poi impastato con acqua tiepida, spesso accompagnata da verdure e legumi. Esistono però altre versioni, per esempio quella tramandata da Marco Porcio Catone nel suo De agri cultura (II secolo a. C.), dove al farro si mescolano miele, cacio e uova. A partire dall’età imperiale, il farro e l’orzo lasciano il posto al grano e il puls alla panificazione, scomparendo a poco a poco dalla scena gastronomica. I due cereali lasciano comunque traccia nelle cucine tradizionali di diverse regioni d’Italia, come l’area della Garfagnana o quella di Belluno, dove entrambi sono ancora oggi ingredienti di tradizionali zuppe, minestre, sformati e insalate.
Farro: dall’antipasto al dolce
Farro, pomodorini, rucola, peperoni, capperi, olive, cipollotti e cubetti di formaggio o mozzarelline: ecco una valida alternativa alla classica insalata fredda di riso. Che lo preferiate integrale, perlato o decorticato, il farro mantiene il suo aroma e un profumo che arricchisce anche le preparazioni più semplici. Se però volete davvero esaltarne il gusto, accompagnatelo con i sapori decisi della carne o del pesce! La mia ricetta preferita è con pesce spada, pomodorini e ricotta
salata, ma provatelo anche con gamberi e pesto di zucchine, oppure con polpo, carciofi e pomodorini; oppure ancora, secondo la ricetta umbra della minestra di farro alla Trebua, con guanciale, pancetta affumicata e pecorino, o con fagioli, patate, bietola e lardo, come si usa in Garfagnana, dove il farro vanta il marchio Igp. Anche il farro delle Marche, il triticum dicoccum, è rinomato in Italia, non solo perché è una delle varietà più antiche della Penisola, ma perché il suo aroma intenso è in grado di insaporire diverse preparazioni, dall’antipasto al dolce. Eccovi qualche suggerimento per una gustosa pausa estiva: insalata di farro con crema di melanzana, noci, pinoli e menta; focaccia di farina di farro con pomodorini; mesciua di farro e ceci alla spezzina; farro dolce con uvetta e pinoli. Per prepararlo, fate cuocere il farro nel latte zuccherato e aro matizzato con vaniglia e chiodi di garofano. Quando è al dente, toglietelo dal fuoco, amalgamatelo con pinoli e uvetta e versatelo in stampini imburrati. Lasciatelo raffreddare e servitelo con una spolverata di cannella.
Dall’orzo all’orzotto
Integrale, decorticato, perlato: iniziamo facendo un po’ di chiarezza sulle diverse varietà di orzo. Il più diffuso, quello perlato, di colore bianco, è anche quello meno interessante a livello nutritivo, perché ha subito il processo di raffinazione completo. Proprio questa caratteristica lo rende però più amato in cucina rispetto alle altre qualità, perché può essere cotto direttamente, senza essere tenuto in ammollo. L’orzo decorticato, che è parzialmente raffinato, cioè ha perso solo la parte esterna del chicco, deve riposare circa 6 ore in acqua prima di essere cucinato, quello integrale addirittura 24 ore. Ne vale comunque la pena, se si pensa che è il più ricco, profumato e saporito di tutti.
Lo si può utilizzare come base per un’insalata tiepida, accompagnandolo con verdure fresche di stagione, per esempio piselli, carote e patate novelle; oppure come ripieno di peperoni e pomodori, o ancora in un corroborante minestrone di verdure.
In Italia esistono varie qualità pregiate di orzo, come quelle tradizionalmente coltivate nel Nord Italia: in Piemonte, nel Veneto e nel Friuli-Venezia Giulia, dove l’orzo perlato incontra i fagioli, bianchi o borlotti, e insieme a un soffritto di cipolla, aglio, lardo e sapori, dà vita a una zuppa cremosa, detta Orzo e fasoi, da accompagnare con un buon vino rosso locale. Nell’area delle Dolomiti bellunesi, nel Veneto settentrionale, la zuppa è arricchita di zucchine, sedano, porro, carota, cipolla, basilico, patate e poi servito con un filo d’olio e abbondante Parmigiano. Il protagonista del piatto è l’orzo perché quello locale, l’antica varietà delle valli bellunesi, è particolarmente saporito. Mes so in ombra, negli anni Sessanta, dalla coltivazione del mais, oggi è diventato, grazie anche al presidio Slow Food, un perno dell’economia e della gastronomia del territorio. Non solo viene impiegato in cucina, ma anche nella produzione di caffè e di eccellenti birre: per esempio la birra Pedavena che prende il nome dall’omonima località, in provincia di Belluno, sede dello stabilimento produttivo. Per provarla, non c’è niente di meglio che fare una sosta nella struttura, che ospita la birreria più grande d’Italia. Se però preferite gustare l’orzo nella sua versione in chicchi, eccovi serviti con un’idea accattivante: anziché bollirlo, potete tostarlo in pentola su una base di soffritto, proprio come si fa con il riso, e poi aggiungere pian piano gli ingredienti e il brodo che preferite. Ve ne diamo una versione sfiziosa nella pagina accanto. Avete già indovinato come si chiama questo tipo di preparazione?
Ada è una signora napoletana di 80 anni. Fin da bambina ha passato tutte le sue vacanze a Capri. Per Ada Capri è un’isola di sogno, dove scopre sempre qualcosa di nuovo. Molti personaggi famosi hanno soggiornato a Capri: pittori, intellettuali, poeti, uomini politici e attori di Hollywood. Negli anni Cinquanta è diventata un simbolo della “dolce vita”. Ci sono molti modi per scoprire l’isola, per esempio fare trekking sul Monte Solaro. La Scala
Fenicia è un’antica scala scavata nella roccia che collega Capri ad Anacapri, a un’altitudine di 280 metri. Da qui partono diversi sentieri, con punti panoramici per godere la vista di tutta l’isola. Chi non vuole salire sul Monte Solaro, può passeggiare lungo la famosa Via Krupp, che porta dal centro di Capri a Marina Piccola in mezzo al verde, con punti panoramici bellissimi. Un’altra passeggiata porta ai resti della magnifica villa a picco sul mare dell’imperatore romano Tiberio.
A2
Cosa siamo disposti ad accettare per mantenere il nostro posto di lavoro? Ruota intorno a questa domanda il film scritto e diretto da Michele Placido. Protagoniste sono le operaie di una fabbrica tessile italiana. L’azienda è stata acquisita da una multinazionale francese, che si dichiara disponibile a confermare tutte le 300 dipendenti, se accettano di ridurre di 7 minuti la pausa pranzo, che da 15 minuti diventerà di 8 minuti. Una clausola apparentemente insignificante provoca un difficile confronto tra le 11 operaie del consiglio di fabbrica. Ognuna difende la propria visione del lavoro e del mondo: c’è chi ha subito molestie dal datore di lavoro, chi è straniera e ringrazia di aver trovato lavoro, chi è disabile, chi incinta, chi ha una famiglia da mantenere e non può perdere il posto. Per il regista Michele Placido e lo sceneggiatore Stefano Massini il fulcro della vicenda è il pretesto perfetto per raccontare uno spaccato del mondo lavorativo italiano.
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In seguito alle disposizioni per il contenimento del Covid-19, la redazione di ADESSO lavora in modalità smartworking. Puoi partecipare entro il 19 giugno alla pagina
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