Dove sei, Europa?
Forderungen an die EU! Über Erwartungen, Chancen, Krisen, Widersprüche und Gegner und warum ein Zerfall der
Staatengemeinschaft dramatische Folgen für alle hätte.
“Dove sei, Europa? Cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa, terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa, madre di popoli e nazio ni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?”
Sono le domande rivolte da papa Francesco, vincitore del Karlspreis 2016, ai capi di stato e alle alte cariche della Commissione europea riuniti in Vaticano per la cerimonia di consegna del premio. Era il 6 maggio 2016, ma quelle stesse domande se le pongono ancora oggi i cittadini europei. Tutti: quelli che al sogno di un’Europa veramente unita non sanno e non vogliono rinunciare come quelli che, seppure non ostili, hanno sempre nutrito molti dubbi sul progetto europeo. minacciosa, sopra la propria testa, la spada di Damocle del futuro, a cominciare da quello economico. La crisi del Coronavirus sembra avere scoperchiato, a livello europeo, il proverbiale “vaso di Pandora” fatto di indecisione, dubbi, veti ed egoismi. Certo, la situazione è difficile. Si tratta di evitare la catastrofe nei paesi – praticamente tutti – in cui la vita sociale ed economica è stata “congelata” per mesi a causa dell’epidemia che sta flagellando il mondo. Si parla di “crisi simmetrica”, perché, appunto, colpisce tutti. Serve, letteralmente, una montagna di denaro. E serve subito. Ma dove trovarlo? A chi e a quali condizioni concederlo?
Di fronte a una sfida epocale, che richiederebbe decisioni coraggiose, di portata storica, l’Europa fa quello che sa fare meglio: decide di non decidere. Si incontra, si riunisce, dichiara la necessità di essere solidali con le nazioni più colpite dall’epidemia e sostiene al tempo stesso la necessità, per ogni singolo stato, di tutelarsi finanziariamente come può. Prima stabilisce una cosa, poi il suo contrario e infine, nel dubbio, rimanda
ogni decisione; organizza un vertice che poi viene sospeso e infine si riunisce di nuovo, naturalmente in videoconferenza. Certo, il compito è difficile, anzi difficilissimo. Si tratta di riuscire nell’impresa di conciliare posizioni apparentemente inconciliabili. Da una parte c’è chi, come l’Italia e altri paesi del Sud Europa, chiede di creare un salvagente europeo attraverso l’emissione di obbligazioni europee, garantite per esempio dalla Bei (la Banca europea per gli investimenti), i cosiddetti Coronabond. Dall’altra chi, a cominciare dall’Olanda, preferirebbe utilizzare strumenti come il Mes (il Meccanismo europeo di stabilità), noto anche come “Fondo salva stati”, che implica una serie di vincoli e condizioni ai quali i singoli paesi membri devono attenersi e che va a pesare sul debito pubblico dello stato che riceve i fondi. Detta in soldoni, la partita si gioca fra chi invoca una solidarietà “senza se e senza ma” e chi, invece, vorrebbe far dipendere questa solidarietà da una serie di condizioni. Il dibattito, al momento in cui scriviamo, è in corso, così come si discute sul presente e sul futuro dell’Unione europea, ammesso che si trovi un accordo e ci sia un futuro di cui parlare. Al di là di come andrà a finire, è sotto gli occhi di tutti che, con le dovute differenze, sembrano riproporsi oggi le dinamiche che hanno portato il Vecchio Continente sull’orlo del baratro 10 anni fa, quando fu investito dallo tsunami della crisi finanziaria globale seguito allo scoppio della bolla immobiliare negli Stati Uniti e al fallimento di una delle banche d’affari più importanti del mondo, la Lehman Brothers. Più di una voce sostiene che ci troviamo in un momento decisivo per la sopravvivenza dell’Ue, a un passo dal punto di rottura. Ma c’è anche chi, come l’ex direttrice di Huffington Post Italia, Lucia Annunziata, pensa che quel punto l’Europa lo abbia raggiunto da un pezzo: “L’Europa si è rotta anni fa sulla Grecia e da quella ferita non si è più risollevata. Esiste un problema di Nord e Sud dell’Europa che non è ancora stato superato e non sarà superato”. Una visione, quella della giornalista italiana, piuttosto pessimista, ma condivisa da molti e non solo in Italia.