L
a tradizionale migrazione stagionale delle greggi verso climi più favorevoli, la transumanza, è diventata nel dicembre 2019 Patrimonio culturale immateriale Unesco. Si tratta di un riconoscimento che i luoghi simbolo di questa pratica pastorale in Italia – dalla Lombardia alla Puglia, dal Molise all’Abruzzo, dalla Campania alla Sardegna – aspettavano da qualche anno. Spesso si tratta di zone difficili e svantaggiate, ma proprio per questo ancora intatte e particolarmente belle. Oltre che testimoniare il rapporto virtuoso fra l’uomo e la natura, la transumanza garantisce la salvaguardia di ben 38 razze ovine a favore della biodiversità del territorio: dalla rustica pecora Sarda alla pecora Gentile della Puglia, fino alla gigantesca pecora Bergamasca.
LA STORIA DI GIOVANNI
Giovanni è un pastore errante della Val Seriana, dove luoghi ricchi di storia, arte, natura e una ricca enogastronomia offrono itinerari alla portata di tutti, alla scoperta di borghi abbarbicati sui monti e di chiesette che rivelano affreschi inaspettati. Tutta colpa di un bicchiere di vino e di due fette di pane spezzate a mano quasi un rito – con un po’ di formaggio di malga, che ci vengono offerti in una viuzza di Valcanale, frazione di Ardesio, in provincia di Bergamo, durante l’inaugurazione di un murale dedicato alla figura del pastore errante. È così che abbiamo incontrato Renato Zucchelli, pastore da generazioni e padre di Giovanni, il protagonista di questa storia, che ci proietta in una realtà lontana, arcaica, al centro della quale c’è il bellissimo rapporto dell’uomo con gli animali. Giovanni ha 24 anni e all’inizio dell’estate fa rivivere ogni anno un rito arcaico, tramandato dalla notte dei tempi: dà il via alla transumanza degli ovini, che dall’assolata e glabra pianura lombarda di Settala, alle porte di Milano, dove hanno svernato vagabondando di campo in campo, si spostano verso i verdi pascoli montani di Valcanale, una piccola diramazione della Val Seriana, dove seguendo sentieri tracciati nei secoli dall’uomo, Giovanni rimane a sorvegliare le sue 700 pecore fino alla metà di settembre.
“DURA È LA VITA DEL PASTORE”
Scriveva così Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte nel lontano 1930, e Giovanni non può che confermare: dura e frugale, fatta di fatica e solitudine, la vita del pastore richiede una grande forza psichica e fisica, anche per sopportare le condizioni atmosferiche spesso avverse. Certo non esistono domeniche o feste comandate! Per Giovanni e per la sua famiglia si
Die Transhumanz ist ein alter Brauch, bei dem mit den Schafherden saisonal über die Hochweiden von unberührten
und berauschend schönen Gegenden wie dem Val Seriana gezogen wird. Es ist ein karges Leben im Einklang mit der Natur,
aber dem jungen Wanderhirten Giovanni fehlt es an nichts.
tratta di una scelta. È gente che lavora con passione, che esiste e resiste anche se il mondo intorno cambia a ritmi vertiginosi e la crisi, con gli alti costi di affitto dei terreni e dei pascoli, ha fatto scendere drasticamente i profitti. Con l’aiuto di alcuni abitanti del borgo, Giovanni conduce le 700 pecore dalla piana ai pascoli ombreggiati da splendide abetaie di Alpe Corte, a quota 1.400 metri, ai piedi dell’acuminato Pizzo Arera, tra le vette più alte delle Prealpi Orobie. È solo la prima tappa, per il giovane pastore con il suo gregge. Qui una malga con il tetto di lamiera gli offre riparo tra scenari montani di straordinaria bellezza. Anche in piena estate, quando i cumuli di nuvole fanno scendere il buio dove c’era la luce e il vento freddo spira fra violenti scrosci di pioggia e grandine. Allora Giovanni attizza il fuoco per scaldarsi e asciugare gli scarponi, mentre in solitudine pensa ai fatti accaduti quassù, che il padre gli raccontava quando era bambino: storie di boscaioli, fulmini, cascate e animali feroci. Poi accarezza il suo cane, che lo aiuta a guidare il gregge. Si chiama Moro ed è un collaboratore indispensabile e infaticabile. Proprio come Giovanni, dalle cinque di mattina fino a tarda sera si occupa del gregge, correndo senza sosta e superando dislivelli non adatti all’uomo.
UN EQUILIBRIO PRIMORDIALE
Le pecore Bergamasche che costituiscono il gregge di Giovanni appartengono alla razza ovina più grande del mondo. L’ariete supera talvolta i 110 chili e la femmina, che ne pesa 80, partorisce in media tre volte ogni due anni. Durante i percorsi più impervi, capita che qualche animale si ferisca e Giovanni deve portarlo in braccio fino all’ovile. Vedere questo ragazzone vivere a stretto contatto con i suoi animali trasmette un indescrivibile senso di quiete. Giovanni non sorveglia le pecore, ma le ascolta e vive con loro in ogni condizione. Vigila sul gregge e gli animali stanno in pace perché sanno che lui è lì. È un equilibrio primordiale, che rimanda a tempi in cui c’era la consapevolezza che per preservare e condividere il nostro mondo bisogna prendersi cura dell’ambiente che ci circonda e degli altri esseri viventi. Le difficoltà sono comunque tante, ma, come dice Giovanni, sono “esperienze di vita anche queste, una via per diventare uomo”. Ma quando, nelle ore più calde, le pecore cercano l’ombra sotto gli abeti, Giovanni diventa spettatore privilegiato dei grandi paesaggi montani e di tutti i minimi particolari, che si svelano solo a un osservatore molto attento: le farfalle che succhiano il nettare o le libellule che si accoppiano sul torrente.
IN FUGA DAL CALDO
Quando arriva il mese di agosto, all’apice del caldo estivo, Giovanni si sposta nella parte alta dell’Alpe Corte, a 1.800 metri di quota, dove trova ad accoglierlo una piccola malga in pietra circondata da torrentelli. Davanti le vette aguzze del Monte Corte, con i ghiaioni che arrivano fino alla base dell’altopiano. Le rocce sono di un particolare colore violaceo, alcune sono spaccate al centro e in mezzo scorre un torrente impetuoso che forma una cascata. Le giornate sono lunghe, soprattutto ora che al gregge