LIBRI E LETTERATURA
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IL LIBRO E L’AUTORE
Il libro uscì nel 1933 in tedesco a Zurigo, dove Silone (Secondino Tranquilli), rifugiato antifascista, a soli 33 anni era già un personaggio di rilievo. Scrivere questo lungo racconto gli aveva dato un po’ di sollievo dopo l’espulsione dal Partito comunista, dovuta alle critiche rivolte a Stalin. Figlio di un piccolo proprietario terriero, a 15 anni aveva perso l’intera famiglia in un terremoto. Dopo una giovinezza difficile si era dedicato alla causa dei contadini poveri del Sud, diventando giornalista. Fu tra i fondatori del Partito comunista, per il quale aveva tenuto i rapporti con l’estero. Il romanzo ebbe subito grande successo in tutto il mondo – apprezzato da Tolstoj, Mann, Orwell, Camus e tantissimi altri –, ma in Italia, dove apparve solo nel 1947, non ebbe fortuna. Grazie alla successiva attività di saggista e autore, Silone è diventato una delle voci più forti contro i totalitarismi, in particolare contro il “fascismo rosso” staliniano. Nel dopoguerra partecipò alla ricostituzione del Partito socialista italiano, ma presto rinunciò alla politica attiva e, dichiarandosi “cristiano senza chiesa”, continuò a scrivere e a lottare in favore degli umili.
→ GENERE: romanzo sociale. LINGUA: difficile.
LA TRAMA
Ambientato nel 1929, il libro racconta le tristi vicende di un paese del Centro Italia, dove il podestà fascista trova il modo di derubare i già poveri contadini. Con la scusa di far arrivare la luce elettrica e grazie alla complicità di un avvocato, fa firmare agli analfabeti contadini un contratto nel quale accettano di cedere l’acqua del loro fiume. Quando le donne protestano, interviene la milizia fascista, che riporta l’ordine con l’uso della violenza cieca e arrogante. Berardo, il contadino più forte e resistente, cerca lavoro fuori dal paese, ma non lo trova perché viene considerato un rivoluzionario e finisce in carcere, dove viene prima torturato e poi ucciso. Nel paese, intanto, la ribellione continua, ma la polizia fascista interviene ancora più duramente per reprimerla.
Gli strani fatti che sto per raccontare si svolsero nell’estate dell’anno scorso a Fontamara. Ho dato questo nome ad un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra le colline e la montagna. In seguito ho risaputo che il medesimo nome, in alcuni casi con piccole varianti, apparteneva già ad altri abitati dell’Italia meridionale, e, fatto più grave, ho appurato che gli stessi strani avvenimenti in questo libro con fedeltà raccontati, sono accaduti in più luoghi, seppure non nella stessa epoca e sequenza. A me è sembrato però che queste non fossero ragioni valevoli perché la verità venisse sottaciuta. Anche certi nomi di persone, come Maria, Francesco, Giovanni, Lucia, Antonio e tanti altri, sono assai frequenti; e sono comuni ad ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l’amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli. Fontamara somiglia dunque, per molti lati, ad ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori dalle vie del traffico, quindi un po’ più arretrato e misero e abbandonato
degli altri.