LA CENSURA AL CINEMA
Verbotene Szenen – das Ende der Filmzensur in Italien.
Più di due minuti di fila di baci, abbracci e qualche nudo. Pezzi di pellicola censurati, tagliati da vecchi film e messi insieme per farli scorrere uno dopo l’altro. È la conclusione di Nuovo Cinema Paradiso, uno dei film più belli di Giuseppe Tornatore. Proprio questa scena – insieme al prete che, durante le proiezioni, suona la campanella ogni volta che viene proiettata una sequenza che considera troppo ardita – mi è venuta in mente quando ho letto la notizia sull’abolizione della censura cinematografica in Italia. Come ha dichiarato il ministro per i Beni e le Attività culturali Dario Franceschini, con la “legge Cinema” dello scorso aprile, in Italia viene finalmente “superato quel sistema di controlli e interventi che consentiva ancora allo stato di intervenire sulla libertà degli artisti”. Significa che è stata eliminata la possibilità di vietare l’uscita di un’opera cinematografica in sala e che non è più possibile imporre a un film tagli o modifiche di alcun tipo.
La legge attuale arriva dopo ben quasi 100 anni dal Regio Decreto n. 532 del 31 maggio 1914, con cui in Italia si introduceva il controllo sulle pellicole cinematografiche. Ogni film, italiano o straniero, poteva essere proiettato solo dopo aver ottenuto il nulla osta del ministero dell’Interno, che lo concedeva se la pellicola non conteneva scene contrarie alla morale, alla religione, alla politica, al buon costume, scene di crudeltà anche su animali, suicidi o incentivi al delitto, e così via. È però durante il fascismo, con il famigerato Minculpop (il ministero della Cultura popolare), che la censura veniva usata sistematicamente e in maniera massiccia anche come strumento di controllo di massa. Si poteva agire già sulla sceneggiatura, sul film finito e un’ultima volta prima che il film fosse proiettato al cinema. Oltre a questi provvedimenti, un singolo cittadino poteva decidere di denunciare un film, un regista, un proprietario di cinema e a questo punto partiva un processo. Con il passare degli anni, la censura ha allentato un po’ le maglie, ma è rimasta uno strumento sapientemente utilizzato per influenzare
e tenere sotto controllo la società. Ettore Scola, in un’intervista al programma
Videosera, andato in onda sulla Rai nel 1976, dichiarava: “Le idee devono essere nuove, nemiche del vecchio. Chi vuole conservare il vecchio deve per forza reprimere queste idee. Chi taglia, chi vuole conservare, non può dire io taglio, censuro, denuncio, vieto perché ho paura. Dice io voglio difendere. Ma difendere che?” Gli interessi del potere, che troppo spesso non coincidono con quelli della gente comune.
ERANO DA CENSURARE?
A rileggerle oggi, alcune motivazioni alla base della censura di alcuni fra i più bei film della storia del cinema italiano fanno sorridere. Totò e i re di Roma (1951) di Mario Monicelli attira l’attenzione della censura per una risposta che Totò, durante l’esame per la licenza elementare, dà al suo insegnante, interpretato da un giovanissimo Alberto Sordi. Alla richiesta di citare il nome di un pachiderma la risposta originale è: “De Gasperi!”, ma viene trasformata in “Bartali”, pena la mancata uscita del film. Alcide De Gasperi in quegli anni è il presidente del Consiglio dei ministri e la frase viene considerata un’offesa. Meglio nominare il ciclista Gino Bartali che, da buon toscano, l’avrà presa sul ridere. Mario Monicelli torna sotto i riflettori della censura con
I soliti ignoti (1958), uno dei capolavori del Neorealismo, al quale la Commissione di controllo riserva parecchie attenzioni indesiderate. Per esempio viene cambiato il titolo, che originariamente era La madama, perché ricorda il gergo della malavita, che chiama in questo modo la polizia. Pier Paolo Pasolini colleziona un lungo elenco di tagli e modifiche. Accattone (1961) diviene il primo film italiano vietato ai minori di 18 anni e per il suo Saló o le 120 giornate di Sodoma (1975), film a cui viene persino tolta la nazionalità italiana, il produttore Alberto Grimaldi subisce vari processi per oscenità, anche se poi viene assolto.