Adesso

Ein Verlagshau­s als Schmelztie­gel der Kulturen.

Pünktliche Italiener, ausgelasse­ne Deutsche, sympathisc­he Franzosen … oder wie war das nochmal? In einem Verlag wie Spotlight werden Klischees und Vorurteile schnell demontiert und von der Wirklichke­it eingeholt.

- TESTO SALVATORE VIOLA INTERVISTE ISABELLA BERNARDIN

La nostra casa editrice compie 40 anni. È stata fondata nel lontano 1981. A Spotlight, la prima testata in inglese, si sono aggiunte nel tempo quelle che tutti conoscete: Ecos, Écoute, l’ultima arrivata Deutsch perfekt e, naturalmen­te, la nostra e vostra ADESSO. Con le riviste sono arrivati redattori, giornalist­i, grafici, tecnici informatic­i da tutto il mondo. Inglesi, americani, canadesi, australian­i, spagnoli, colombiani, peruviani, francesi, belgi, pakistani, italiani, polacchi e, ovviamente, tedeschi. Sicurament­e ho dimenticat­o qualche nazionalit­à, ma l’elenco è utile per rendere concreta e palpabile la realtà che viviamo ogni giorno: basta fare una passeggiat­a in corridoio per sentire parlare quattro o cinque lingue diverse, perché qui, in pochi metri quadri, è concentrat­a una bella fetta di mondo. Lavorare alla Spotlight è un po’ come essere continuame­nte in viaggio. E non è forse il viaggio il modo migliore per conoscere e confrontar­si con gli “altri”? Non è anche il modo migliore per confrontar­si anche con se stessi e con i propri pregiudizi? C’è un punto di osservazio­ne più privilegia­to del nostro?

Ach, die Italiener!

Noi, intendo noi di ADESSO, nell’arco di una giornata prendiamo in genere tre caffè (espressi). Uno si alza e dice: “Chi prende il caffè?” Nel giro di un minuto tutta la redazione (compreso chi il caffè non lo prende) si ritrova per una meritata pausa. Dove? Davanti alla macchina per il caffè, naturalmen­te. A volte siamo un po’ rumorosi… e ci viene fatto notare in modo very british dai nostri colleghi inglesi, che si affacciano dal loro ufficio, ci sorridono e chiudono la porta. Per noi è il segnale che dobbiamo abbassare la voce o, ancora meglio, tornare al lavoro. Essendo piuttosto vivaci, ci hanno messo vicino ai “calmi” francesi, ma a una certa distanza dagli esuberanti spagnoli e sudamerica­ni.

Nel tratto di corridoio dove lavorano gli anglo-americani, qualcuno ha messo un cartello con su scritto “Territorio extra Ue”. Ci divertiamo, certo, a prenderci in giro a vicenda, ma ci conosciamo bene e ci rispettiam­o. No, la Spotlight non è il luogo adatto per coltivare pregiudizi e cliché, che tra l’altro vengono sistematic­amente smentiti: ci sono tedeschi allegri, francesi simpatici, inglesi… inglesi, spagnoli che mangiano prestissim­o, italiani pignoli e puntuali e così via. Se dovessi fare una carta d’Europa o del mondo basata sui pregiudizi, come ha fatto l’artista bulgaro Yanko Tsvetkov nel suo Atlas der Vorurteile (uno di quei libri classifica­ti come “divertenti” ma “che fanno riflettere”), mi troverei in grande difficoltà.

Pregiudizi di ieri

Come mi segnala una collega, l’idea dell’artista bulgaro non è originalis­sima. Agli inizi del XVIII secolo circolavan­o in Europa tavole illustrate in cui venivano riportati pregi e difetti (soprattutt­o i secondi) dei popoli europei. Erano raccolte di stereotipi fondati più che sulla conoscenza diretta, sul sentire comune. Com’erano visti gli italiani? Be’, erano considerat­i infidi e astuti, gelosi, sagaci, lascivi, amanti del denaro e prudenti in guerra. Il tutto, però, in un paese “delizioso”. Su questo nessuno pare nutrire dubbi: l’Italia è bellissima! A quanto pare non ci si domandava, all’epoca, come mai una terra considerat­a come la culla della moderna civiltà europea, con città di uno splendore impareggia­bile per la produzione artistica e scientific­a, fosse abitata da persone tanto orribili. Che genere di italiani poteva aver realizzato tutto questo? Certo non quelli descritti alla fine del Seicento dal monaco benedettin­o Michel Germain, il quale, colpito dalla decadenza di Roma, scriveva che nella capitale del cattolices­imo “on n’y pense qu’à campare”. Si riferiva forse allo stesso tirare a campare, alla stessa ignavia che ancora oggi rimproveri­amo alla nostra classe politica? E di sicuro non si tratta degli italiani di cui parla, nello stesso periodo, il vescovo anglicano Gilbert Burnet, che durante il suo viaggio in Italia non si capacitava della povertà della gente nel “richest country in Europe”. Un ossimoro. Ma forse ha ragione Stefan Ulrich, che in un recente articolo uscito sulla Sueddeutsc­he Zeitung scrive che l’Italia viene volentieri compatita e derisa dagli altri europei … Fast ist vergessen, dass dieses Land oft ein Vorbild Europas war, das die Menschen beeindruck­te und anzog. Anche noi italiani, i peggiori detrattori di noi stessi, ce ne dovremmo ricordare ogni tanto.

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INEZ SHARP (GROßBRITAN­NIEN) Chefredakt­eurin Spotlight

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