L’amore nel mito
Un Cupido tanto insolito quanto affascinante. Talmente bello che il suo committente pare lo tenesse coperto da un telo affinché non offuscasse gli altri capolavori della sua collezione. Ancora una volta Caravaggio stravolge i canoni classici dell’iconografia del suo tempo. Il suo dio dell’Amore non è il classico bambino dal sorriso rassicurante e dalle ali candide, capace di ispirare tenerezza. Sembra se mai un monello. Sorride soddisfatto perché ha vinto su tutto: su guerra, musica, letteratura, astronomia, geometria, rappresentate dagli oggetti ai suoi piedi. Le sue ali scure ricordano quelle di un falco, i denti storti richiamano l’imperfezione umana. È un Cupido che riporta dritti all’origine del suo nome, dal latino cupere, “bramare, desiderare”. Proprio l’erotismo che trapela dalla tela è uno degli aspetti più dibattuti di quest’opera. Caravaggio usò come modello Francesco Boneri, detto Cecco, un suo garzone, nonché convivente, con il quale pare avesse una relazione. La teoria del loro rapporto omossessuale era già nota all’epoca. Contribuì a diffonderla anche un accanito rivale di Caravaggio, Giovanni Baglione, che proprio intorno al dipinto Amor vincit omnia costruì un attacco al pittore lombardo. Baglione pare fosse estremamente invidioso del successo ottenuto dal quadro. Nello stesso anno ne realizzò allora uno in risposta – Amor sacro e amor profano – in cui San Michele Arcangelo, ossia l’amore sacro, sconfigge il Cupido di Caravaggio. Lo donò poi al cardinale Benedetto Giustiniani, fratello di quel Vincenzo che aveva commissionato a Caravaggio Amor vincit omnia. Un attacco per nulla velato alla pittura del rivale, a cui Caravaggio rispose dedicando a Baglione due poesie ironiche, poi oggetto di querela. Per ironia della sorte, il destino ha riportato i due dipinti vicini, esposti nella stessa sala della Gemäldegalerie di Berlino.