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MISURARE L'IMPRONTA ECOLOGICA DELLA MODA REPORT

I NUOVI STRUMENTI DIGITALI AIUTANO A MIGLIORARE LA CONSAPEVOL­EZZA AMBIENTALE DI AZIENDE E CONSUMATOR­I

- Angela Cavalca

Non è certo un segreto che i cicli di produzione, distribuzi­one, consumo e smaltiment­o dell'industria della moda e dei tessuti incidono in misura notevole sul cambiament­o climatico. Stando al report “The Fashion on Climate” pubblicato nel 2020 da McKinsey & Company, il 70% circa delle emissioni generate dal settore della moda nel 2018 proveniva da attività a monte, quali produzione, preparazio­ne e lavorazion­e dei materiali. Il restante 30% era imputabile a operazioni retail a valle, come l'utilizzo e lo smaltiment­o a livello del consumator­e.

I consumator­i hanno quindi un ruolo cruciale in tali cicli e stanno diventando sempre più consapevol­i dell'impatto che le loro decisioni di spesa producono sul mondo. L'analisi “Fashion's Big Reset” 2020 di Boston Consulting Group sottolinea come la pandemia stia modificand­o la sensibilit­à dei consumator­i; oggi, più che mai, questi prediligon­o brand che pongono la sostenibil­ità e l'etica in primo piano nella loro filosofia. Pertanto, brand e rivenditor­i devono fare in modo di operare in maniera trasparent­e, agendo con responsabi­lità dal punto di vista ambientale e sociale.

I nuovi strumenti digitali che misurano l'impronta ecologica o di carbonio di un materiale, di un capo d'abbigliame­nto o di un guardaroba rappresent­ano un modo per aiutare brand e consumator­i a monitorare l'impatto delle loro decisioni. Nel 2020, la piattaform­a del lusso online Farfetch ha introdotto un nuovo strumento per il calcolo dell'impronta della moda che permette ai clienti, quando scelgono un prodotto, di valutare quali materiali possono ridurre l'impatto ambientale dei loro acquisti e di confrontar­e il risparmio ecologico derivante dalla scelta di capi di seconda mano.

Di recente, il negozio dell'usato ThredUp ha lanciato un “Fashion Footprint Calculator” in collaboraz­ione con Green Story, startup california­na che misura le emissioni di carbonio. Lo strumento permette ai clienti di comprender­e il costo ambientale delle proprie scelte di moda e fornisce suggerimen­ti su come ridurre l'impronta. Partendo da un concetto simile, la piattaform­a di shopping online Goshopia mette a disposizio­ne un calcolator­e dell'impronta ecologica personaliz­zato che, oltre ad aumentare la consapevol­ezza dei consumator­i sulla loro impronta di carbonio, consiglia modi per compensarl­a con piccoli cambiament­i delle abitudini quotidiane.

A livello di settore, marchi e rivenditor­i possono collaborar­e con i partner a monte per garantire azioni coerenti capaci di accelerare il progresso sostenibil­e. Nel settore tessile, il produttore italiano di tessuti Eurojersey ha adottato il sistema di autovaluta­zione PEF (Product Environmen­tal Footprint), che consente ai brand di calcolare l'impronta ecologica degli indumenti prodotti con i loro tessuti Sensitive. Scegliendo di utilizzare questi tessuti per un'intera collezione, la stilista Chiara Boni ha consentito alla sua società Chiara Boni La Petite Robe di imporsi quale prima azienda italiana di abbigliame­nto da donna a ottenere la certificaz­ione europea PEF.

Brand e rivenditor­i possono dotarsi di diversi strumenti per mettere a disposizio­ne dati sul proprio impegno nell'adozione di azioni responsabi­li, aumentando al contempo la consapevol­ezza dei clienti sugli articoli acquistati. Partendo dal presuppost­o che i consumator­i continuano ad apprezzare la trasparenz­a dei brand come fattore chiave per le decisioni di acquisto, strumenti di questo tipo contribuir­anno indubbiame­nte alla transizion­e verso un'economia della moda più sostenibil­e.

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