IL GAS RADON
L’ESPOSIZIONE AL RADON È CONSIDERATA DALL’OMS LA SECONDA CAUSA DI TUMORE AL POLMONE DOPO IL FUMO DI SIGARETTA
Il gas Radon è un nemico silente, al quale siamo del tutto inermi. È tra le cause del tumore al polmone, la cui incidenza in Italia è di oltre 27.500 casi l’anno per gli uomini e di oltre 13.300 per le donne. Il tumore del polmone, da solo, causa il 20% di tutte le morti per tumore in Italia ed è al primo posto come causa di morte per tumore negli uomini (fonte AIRC.it). Tra i fattori di rischio di questo tipo di tumore c’è proprio l’esposizione prolungata ad agenti cancerogeni ambientali come il Radon, un gas radioattivo, inodore e incolore, che si trova nell’aria e in ogni tipo di terra e di roccia. Esso si forma in modo naturale dal Radio (a sua volta prodotto dall’Uranio) o dal Torio 232, i cui prodotti di decadimento, essendo elettricamente carichi, si attaccano al particolato dell’aria e penetrano nel nostro organismo tramite le vie respiratorie attaccando il DNA delle cellule, le quali possono evolvere in forme cancerogene. Il Radon - oltre che nell’aria - viene emesso dal suolo e può accumularsi negli spazi chiusi, come nelle case o nei luoghi di lavoro. Un Piano Nazionale - lanciato nel 2005 e coordinato dall’Istituto Superiore della Sanità - sta elaborando le strategie e gli interventi, anche di tipo normativo, capaci di diminuire l’esposizione a questo gas e di ridurre il rischio di tumore polmonare. In Italia il Legislatore ha fissato - per gli ambienti di lavoro (tra i quali sono comprese le scuole) - un livello massimo di 500 Bq/ metro3, superato il quale il datore di lavoro deve valutare in maniera più approfondita la situazione e, se il locale è sufficientemente frequentato da lavoratori, intraprendere azioni di bonifica. Ma, quanto aumenta il rischio di tumore polmonare a causa dell’esposizione al Radon? Il rischio aumenta proporzionalmente alla concentrazione di Radon e alla durata dell’esposizione. Per persone esposte al Radon per circa 30 anni, l’analisi degli studi epidemiologici effettuati in 11 Paesi europei, tra cui l’Italia, ha evidenziato un aumento di rischio di circa il 16% ogni 100 Bq/m3 di concentrazione di Radon. Occorre tenere in considerazione comunque che la gran parte della popolazione italiana è esposta ad una concentrazione media di Radon inferiore a 100 Bq/m3 (ca. 70 Bq/ m3), anche se i suoi effetti sono peggiorativi per soggetti fumatori. Normalmente la principale fonte di Radon è il suolo, per cui i locali degli edifici collocati nei seminterrati o al pianterreno sono generalmente quelli più interessati dal fenomeno. La concentrazione può subire sensibili variazioni giornaliere e stagionali:
generalmente i valori più elevati si osservano nelle prime ore del mattino, specie nei periodi invernali. Inoltre, il luogo e il tipo di costruzione sono elementi determinanti, anche se variano da caso a caso. Pavimentazioni poco isolate o a diretto contatto con il terreno, sottosuoli come lave, tufi, pozzolane e alcuni graniti, vecchi edifici con mura di pietrisco molto spesse (ma non sigillate), cavedi che sfruttino “l’effetto camino”, oppure impianti di ventilazione che prelevino aria fredda da cantine o che lavorino in depressione sono tutti fattori che contribuiscono all’aumento dei livelli di Radon all’interno degli edifici.
Come fare per proteggersi?
Che si tratti di risanamento (per edifici esistenti) o di prevenzione dal gas Radon in nuovi edifici, occorre limitare l’ingresso del Radon dal suolo attraverso una maggiore aerazione degli ambienti confinati con metodi passivi (ventilazione naturale) o, in modo più efficace, attraverso sistemi attivi. Per esempio mediante l’utilizzo di ventilatori atti a mettere in sovrapressione l’ambiente interrato, oppure mediante estrattori che creino un percorso di uscita “forzato” del Radon. Altri metodi prevedono la realizzazione di canaline di raccolta con veicolazione dell’aria oppure la creazione di pozzetti interrati di raccolta con successiva espulsione dell’aria satura all’esterno dell’edificio.